lunedì 24 agosto 2009

On the road

Se un Paese venisse giudicato dalle strade, il Kenya non passerebbe di certo l'esame, soprattutto nel bush. In questo weekend abbiamo accumulato decine di chilometri, e stamattina la mia schiena ha minacciato di chiamare i sindacati per indurre uno sciopero, se mi azzardavo ad andare a correre. La nostra macchina è comoda e confortevole, ma il retro del pick up lo è un pò meno, nonostante i cuscini di cui eravamo provviste Christine ed io.
Mi piace tantissimo girare per questo Paese, non mi basta mai. E viaggiando sul retro si ha una visuale niente male: il vetro su tre lati e la possibilità di muoverti come ti pare. Come sottofondo il rumore del motore e quello delle ruote sulla terra, interrotto solo dalle nostre risate ad ogni salto. Bellissimo.
Da dietro si vede tutto: le verdi colline che circondano Karungu, l'onnipresente lago Vittoria, che dall'alto rende il meglio di sè, la strada che scorre veloce sotto di noi. Ma soprattutto vedi la gente. Perchè qui le strade sono sempre piene di gente. Al mattino presto, di giorno sotto il sole che brucia, nel nero totale delle notti africane. A piedi, in bici, in quattro sulla moto con un cesto in testa e due galline in mano, in dieci in una macchina da sei, in venti sul matatu da quattordici, in un numero imprecisato sugli autobus e sui camion. Christine ed io non potevamo certo lamentarci: il nostro era un safari avventuroso per scelta, ma qui ci sono persone che fanno viaggi impossibili per necessità. Tantissime le mani che ci hanno salutato, e i sorrisi scaturiti dal vedere queste due biondine accomodate sul retro del pick up. Ogni volta la sorpresa di come a volte basta davvero poco per far nascere un sorriso, soprattutto nei bambini. Anche quando sembra non esserci proprio niente da ridere.
Abbiamo attraversato alcuni villaggi che appaiono quasi irreali. Quando si passa molto tempo nell'ufficio della missione a volte si perde il senso di cosa ci sia fuori. Si rischia di dimenticare che la parola povertà indica qualcosa di concreto, che si può guardare, toccare, annusare, assaggiare e ascoltare. Perchè la povertà è a cinque sensi. Ha i colori opachi dei vestiti sporchi di polvere. Ha la pelle ruvida anche se è appena un bambino. Ha l'odore del fuoco a carbone e dell'omena e di chi per lavarsi usa l'acqua del lago. Ha il gusto forte dei cibi semplici. E ha la risata cristallina dei piccoli, capaci di trovare il lato giocoso e bello della vita. Sempre. Sono i bambini i migliori maestri.

venerdì 14 agosto 2009

Oyawore, Karungu

Un'altra settimana arriva al termine qui a Karungu, e sono già dieci giorni che sono tornata. Mi sono riambientata completamente: ho sistemato casa e l'ufficio, ho rivisto gli amici e ripreso il lavoro. Sabato sono arrivati tre nuovi, graditissimi, visitors: Nicoletta, Miriam e Davide. Karibuni! Comincia anche l'elenco dei compleanni italiani mancati: in questa settimana Cri ed Eros, la prossima la mia Comaruz. Auguri collettivi a tutti!
Una cosa che mi piace fare adesso la mattina è alzarmi presto e andare a correre [vabbè, dai, ho esagerato: correre è una parola grossa, ma fa scena e accresce l'autostima] Karungu si risveglia piano piano, i ragazzini portano gli asini al lago o vanno direttamente da sè, per prendere l'acqua che servirà alla famiglia. Il sole si fa largo tra le nuvole e si alza il sipario di una nuova giornata.
Il mio percorso si snoda all'interno del compound dell'ospedale, e alle 7:00 cominciano ad arrivare i primi pazienti della clinica per gli antiretrovirali. Se penso che io ho il fiato corto per un chilometro o due a piedi, e loro ne hanno macinati sicuramente di più e siedono placidi sulle panchine come se fossero appena scesi dalla fermata della metro, non posso che ricambiare i loro sorrisi divertiti da questa mzungu che gira apparentemente senza meta.
Davanti al children ward bambini e parenti si godono il fresco del mattino. I piccoli con i loro pigiamini a righe bianche e rosse e la maglietta dell'ospedale mi guardano stupiti e con gli occhi ancora socchiusi da un sonno non del tutto sanato da una notte forse non troppo tranquilla.
Alcune mamme lavano i panni nel vicino lavatoio, chi con un bambino legato sulla schiena, chi con tante cose da raccontare, già di prima mattina.
Oyawore, Karungu. [Buongiorno, Karungu] Have a nice day.


lunedì 10 agosto 2009

[...]

Per ogni cosa c'è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo.

C'è un tempo per nascere e un tempo per morire,
un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante.
Un tempo per uccidere e un tempo per guarire,
un tempo per demolire e un tempo per costruire.
Un tempo per piangere e un tempo per ridere,
un tempo per gemere e un tempo per ballare.
Un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli,
un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci.

Un tempo per cercare e un tempo per perdere,
un tempo per serbare e un tempo per buttar via.
Un tempo per stracciare e un tempo per cucire,
un tempo per tacere e un tempo per parlare.
Un tempo per amare e un tempo per odiare,
un tempo per la guerra e un tempo per la pace.

Qoelet 3, 1-8

venerdì 7 agosto 2009

Disaster :)

A doctor told me the final diagnosis yesterday evening..

"You are lost in East Africa!"

.. pole sana ;)

giovedì 6 agosto 2009

Rainbow

Eccomi qui, di nuovo a Karungu. Angi is back. E un pò mi sembra ieri che sono partita per l'Italia, un pò è tutto diverso, tanti piccoli dettagli, quelli che piacciono tanto a me e che noto subito se cambiano.
E, naturalmente, sono cambiata io. Torno dall'Italia ricaricata dalla mia famiglia e dai miei amici. Alcuni di voi mi hanno stupito: ho visto tante potenzialità farsi reali e sono proprio orgogliosa di voi. Good job! Torno anche più consapevole di certe amicizie nate a Karungu: a Torino ho sentito l'affetto di due continenti, e sono sicura che abbia avuto un grande potere nell'aiutarmi a ristabilirmi in fretta.
Torno con tanti pensieri per la testa sull'Africa e sull'Italia, che spero di condividere con chi legge questo blog, un pò alla volta. Ci voleva questo stacco, dopo un anno a Karungu. Ed è sempre bello tornare a casa, in entrambe le direzioni.
Torno con tanti progetti, perchè a noi "le cose facili non ci piacciono".
Torno bionica, e orgogliosa di esserlo. Non si può scappare da se stessi. E poterlo essere davvero, senza nascondersi, è una tale soddisfazione. Tutto si fa più leggero, e al tempo stesso più completo. Più "colorato", come dice il mio medico. Mi piace pensare a me e questa mia esperienza come ad un arcobaleno di persone ed emozioni e lezioni da imparare. E siamo appena a metà..