lunedì 28 settembre 2009

Boda Boda

Al mattino c'è sempre un bel viavai di persone al main gate del St. Camillus: parenti dei ricoverati, staff dell'ospedale, dipendenti della missione, Daniel [il capocantiere] e gli operai, più un certo numero di vari ed eventuali che non manca mai. Naturalmente la maggior parte di loro raggiunge la missione a piedi, ma molti si concedono un passaggio con il boda boda. Non vi ho ancora parlato dei boda boda? Gosh!
I boda boda sono dei ragazzi di svariata età che di lavoro fanno i "tassisti". Solo che, come spesso accade in Africa, una parola di uso comune qui assume un significato diverso. Boda boda deriva dall'inglese "border" [letteralmente "confine/frontiera" ma anche "bordo"] e indica coloro che ti portano da un posto all'altro. Ma non in macchina, che sono capaci tutti. In questi ultimi mesi a Karungu sono aumentati in modo esponenziale i boda boda motorizzati, ma quello vero, quello originale, il boda boda DOC, insomma, ha la bici e pedala. Perchè per fare il boda boda ci vuole un certo "physic du role", come si suol dire.
Io con il boda boda di tanto in tanto vado a Sori, che dista circa 3 km e mezzo dai Camilliani. In moto, ma anche a piedi, la strada sembra non dare troppi problemi, nonostante non sia asfaltata e durante la stagione delle piogge cambi forma di giorno in giorno come fosse fatta con il pongo e un gigante di notte si divertisse a giocarci, creando di volta in volta buche nuove e dalle forme via via più fantasiose.
Anyway. In moto ci si mette pochi minuti [io un pò di più perchè raccomando all'easy rider di turno di andare pole pole "piano piano". E andare in moto mi piace, ma mi piace di più arrivare sana e salva a destinazione]. La moto ha il vantaggio del tempo, ma anche della comodità e della capacità. Perchè in moto ci si può andare in 3 [easy rider + 2 passeggeri] ma anche in 4 o 5 [easy rider + 2 adulti + 2 bambini, ad esempio. E non è un'immagine ipotetica, li ho visti con i miei occhi ieri mattina]. Senza dimenticare varie ed eventuali, come sopra. Che in questo caso possono comprendere davvero everything: galline, pesci, borse, sacchi, frutta, verdura, vestiti, cuscini, assi di legno, taniche d'acqua e chipiùnehanemetta. Non occorre dire che già in 3 si è troppi, in teoria. E che i passeggeri non hanno mai il casco. Cosa che non andrebbe fatta assolutissimamente. E infatti ogni tanto arrivano in ospedale i superstiti [quando ci sono] di incidenti stradali con ossa rotte in punti improbabili, perchè qui i centauri ma soprattutto gli automobilisti hanno un concetto della guida piuttosto bizzarro, e a volte sembra di essere in un videogioco, pilotati da un bambino piccolo che non sa usare i comandi. Anche se girare in moto per le strade di Karungu, va detto, è bellissimo. Puoi godere il paesaggio, l'aria ti scompiglia i capelli, arrivi dove con la macchina ti è precluso, ed è ogni volta una piccola avventura.
Ma torniamo al boda boda, che sto divagando. Se posso, scelgo quello in bici. Un pò perchè in certe cose sono un tipo tradizionale e romantico [ebbene, sì!] e un pò perchè ora che va di moda il piki piki, "la moto", i tassisti a pedale fanno magri affari. Certo, in bici al massimo ci vai in 3 [Girardengo + 1 adulto + 1 bambino se sta sulla canna o legato dietro la schiena] e ci metti una mezz'oretta. Quanto al trasporto di oggetti e animali... Non c'è molta differenza rispetto alla moto, ne ho viste davvero di ogni. E sono sicura che le migliori devono ancora capitarmi. Di sicuro il ciclista fa più fatica, e sfoggia un fisico da pubblicità delle migliori palestre. L'andata dal St. Camillus verso Sori va via liscia. Ma il ritorno è un'altra cosa: la strada ha un leggero dislivello che solo la bicicletta rivela. In particolare, ci sono due punti subito prima e subito dopo la parrocchia di Kiranda che, beh, te ne accorgi eccome. Girardengo comincia a perdere slancio, smette di parlare, piccole gocce di sudore gli imperlano il collo e la maglietta non si gonfia più al vento ma si appiccica alla schiena. E, vabbè, non sarà il Pordoi ma i 100 scellini del viaggio [tariffa andata/ritorno: 100 scellini sono meno di 1 euro] sono guadagnati fino all'ultimo colpo di pedale.

Special thanks for this picha: Giovanni :)

lunedì 21 settembre 2009

... 70!!! :)


BUON COMPLEANNO
AL MIO PAPA'!!!


angi :)

domenica 20 settembre 2009

Ci rimette in viaggio

Mai come ora gli eventi si sono vendicati trasformandoci da cacciatori d'Occidente a prede. Odiati per troppa ricchezza, troppo potere, troppi consumi. Tenuti lontano dai quattro quinti del mondo. Tollerati (al massimo) in quella forma di regressione collettiva chiamata "turismo di massa", che transita dentro i recinti dei villaggi vacanza e dei grandi alberghi con guardie armate alle porte e centri commerciali con scaffali pieni di tazze con scritte spiritose, spille, T-shirt, peluche, collanine, specchi & vetri colorati. Tutti diventati, per contrappasso, dopo gli stermini di ieri, i buoni selvaggi di oggi, con l'anello al naso e lo SmartPhone collegato come un monile ai padiglioni auricolari.
Scontiamo, in questa involontaria allegria di superficie, l'odio che abbiamo generato divorando distrattamente in una doccia l'acqua di un intero villaggio; bruciando in un ingorgo l'ossigeno di mille alberi. Siamo i più forti. E con noncuranza i più prepotenti. Ma anche i più fragili, se disarmati. [...]
Insaguinati dal terrosismo globale, abbiamo globalizzato il terrore che ha finito per farci prigionieri. Così ha avuto ragione il filosofo Paul Virilio, quando diceva che a cavallo del nostro Ventunesimo secolo non stava affatto finendo la Storia, "ma rischia di finire la Geografia", per mancanza di terre, per mancanza di vie d'uscita.
Adesso però la Geografia si è rimessa in moto grazie a questa speciale intersezione che passa tra declino di un intero ciclo economico - governato dalle banche in fallimento e dai debiti planetari - e l'ascesa di Obama, giovane meticcio di così tante speranze che basterebbe realizzarne un decimo per rallentare le nostre vertigini. Cambiare rotta al mondo. Moltiplicare libertà. Fronteggiare l'ignoranza. Rendere potabile un pò di acqua in più, un pò di ossigeno, e obsoleti tutti gli dei, di Oriente e di Occidente, intossicati dal desiderio di vendetta.
Quel punto di intersezione sta davanti a noi. E' la nuova scala delle nostre carte geografiche. La novità che ci rimette in viaggio verso il confine più vicino da attraversare, quello della paura. Il faro che sfida la notte, ci rassicura sulla rotta, ci avverte che la scogliera è passata.

Tratto da: Patagonia - La terra del "non c'è"
Pino Corrias, Vanity Fair n. 38

See you in december!

Ed è già tempo di ripartire. Milano-San Zeno-Asiago-Milano-Torino-Milano-San Zeno-Venezia. Con una capatina ad Asolo a festeggiare il Fegin+Margherita, a Rosà per una foto con Betta+Piero, e un pensiero speciale per Ciccio+Erika. Un risotto al ragù con la mia comare minon [che bon!!], una zuppa cinese con un amico ritrovato, una pizza targata '82 e una torta di compleanno in anticipo [per gli auguri aspetto domani]. Direi che può bastare. Anche se il tempo sembra non bastare mai per stare con voi. Anche questa volta, infatti, qualche appuntamento è saltato. Ma si accettano prenotazioni per dicembre!
Ed ogni partenza è un nuovo turbine di emozioni. Ho fatto il pieno dei vostri abbracci e dei vostri sorrisi e delle tante chiacchierate, anche se stavolta avete soprattutto ascoltato: co taco parlare no ghe a moeo pi, o so! Sorry, friends. And thanks a lot. See you in december, steme ben!

sabato 19 settembre 2009

Access to Life

Ricominciare a Vivere è la mostra che s'inaugura venerdì 18 al Museo dell'Ara Pacis. Un foto racconto, realizzato da Magnum Photos e Contrasto, per imprimere «lo sguardo di chi ce l'ha fatta».

LA MOSTRA - Otto grandi fotografi, inviati in nove paesi, hanno potuto documentare la vita di oltre 30 persone affette da HIV, e l'efficacia dell'utilizzo dei farmaci retrovirali distribuiti gratuitamente da The Global Fund to Fight AIDS, Tubercolosis and Malaria. Dopo il successo di Washington, Madrid, Oslo, arriva a Roma Access to Life. La galleria fotografica resterà aperta fino al 18 ottobre, negli spazi espositivi dell'Ara Pacis per assicurare la giusta risonanza all'iniziativa.

L'IMPEGNO - Attraverso l'occhio della squadra di fotografi diretti da Bill Horrigan, la storia di Marie Sonie di Haiti, di Thoba in Mali, di Juan Carlos in Perù e tante altre persone, diventeranno un messaggio positivo e simbolo di una vera rivoluzione contro questa malattia. Grazie al Global Fund che raccoglie e investe fondi in aiuti verso persone malate di HIV, soprattutto nei Paesi più poveri del pianeta, Ricominciare a Vivere disegna un mosaico di speranza e rinascita. Oltre 3.5 milioni di persone in 140 Paesi nel mondo sono vivi grazie a questi contributi. Inoltre il Global Fund offre il proprio supporto a 62 milioni di persone per consulenze e diagnosi, tra cui 445.000 donne incinte sieropositive. Una tangibile testimonianza, dunque, del recupero di buone condizioni di vita. Di un risultato positivo possibile. I proventi della mostra e del libro Ricominciare a Vivere saranno devoluti al Global Fund per infondere speranza, consapevolezza, e soprattutto per proseguire con la somministrazione di cure gratuite contro l'AIDS.

Corriere della Sera.it

Clicca sulla foto per accedere alla galleria fotografica

Kassi Keita ha 3 anni, dopo 18 mesi di malattia gli è stato diagnosticato l'Hiv. Sua madre, Mariam Dembele, ha 31 anni, anche lei è stata sottoposta al trattamento contro l'Aids. Mali 2007/08 (foto Paolo Pellegrin / Magnum)

domenica 13 settembre 2009

Il razzismo, strana malattia

Fatah porta la sua storia al convegno nazionale di Emergency [a Firenze]. E' la storia di tante storie. La fuga da un Paese in guerra, l'attraversamento di mezza Africa, il mare, il centro di accoglienza, la domanda di asilo politico, la vita dei campi. Poi, il lieto fine: da tre anni Fatah, somalo, e' mediatore culturale, e collabora con Emergency al poliambulatorio di Palermo. Fatah ce l'ha fatta, a differenza di molti altri le cui storie non hanno avuto un lieto fine, e al convegno su immigrazione e razzismo al PalaFiere ha portato la preziosa testimonianza di immigrato, in un'Italia sempre piu' fortezza, con mura sempre piu' alte, sorvegliate da sentinelle sempre piu' ostili.

Gli ospiti indesiderati vengono respinti senza appello da un Paese senza memoria. L'appello e' la possibilita' - negata - di far valere il proprio diritto all'ingresso nel nostro Paese (e' il caso delle migliaia di richiedenti asilo che illegalmente vengono ricacciati in mare a seguito della nuova legge sui respingimenti). La memoria e' quella - obliata - di un Paese che una volta e' stato patria di emigranti.

E' questa la sintesi del convegno, moderato dal giornalista di PeaceReporter Christian Elia, al quale hanno preso parte Gabriele Del Grande (studioso di immigrazione, creatore del blog sull'immigrazione ‘Fortress Europe' e autore del libro ‘Mamadou va a morire'), don Virginio Colmegna, fondatore della Casa della Carita' , e lo scrittore Erri De Luca.

Questa pratica - ha concluso Del Grande - e' illegale, senza scomodare le Convenzioni sui diritti dell'uomo, le leggi a tutela dei rifugiati e via dicendo. Sono illegali perche' il Testo unico sull'immigrazione, ovvero la Bossi-Fini, non prevede il respingimento per i richiedenti asilo politico. I respingimenti vengono venduti come necessita' umanitaria. Gli salviamo la vita perche queste persone muoiono in mare, intercettandoli il prima possibile perche', ci viene detto, ci sara' un effetto dissuasivo, pedagogico, sui potenziali candidati. Ma la realta' e' ben diversa. [...]

Don Colmegna: ci vuole [...] una cura del sociale. Deve rientrare nel nostro Paese una cultura dell'accoglienza. Di fronte a questo impegno la mentalita' popolare viene continuamente aggredita da una strisciante colpevolizzazione, di demonizzazione, di identificazione del capro espiatorio. L'inimicizia fa capitalizzare la paura, rendendola un luogo dove il nemico deve scomparire. Siamo all'anticamera della camera a gas. Alla borsa politica del nostro governo e' questo il grande capitale di consenso. [...]

Erri De Luca riprende l'espressione di Don Colmegna, "anticamera della camera a gas". "Dissimulazione e svestimento, erano queste le caratteristiche delle camere a gas. Siamo ancora li, si tratta di questo. Spogliare le persone della loro dignita' e del loro nome, fingendo di dargli una mano, fingendo di spingerli a fare una doccia. Ecco, noi siamo ancora li'. E' il secolo delle grandi migrazioni, delle popolazioni in cerca di una patria che dia da mangiare, e il diritto al lavoro. Noi siamo stati azionisti di maggioranza in questa realta'. Trenta milioni di italiani hanno cercato di trapiantarsi altrove. Ledda, nel suo libro ‘Padre padrone', raccontava degli autobus nei paesini che portavano all'imbarco per l'Australia. Era un congedo che era un lutto tra vivi, non ci si sarebbe piu' visti, un momento di addii irreparabili, erano dei funerali. Noi siamo stati questa immensita' di migrazioni, che hanno svuotato le nostre terre e i nostri paesi molto piu' profondamente di due guerre mondiali. [...] Abbiamo avuto le miniere del Belgio, col sequestro dei passaporti italiani, col lavoro obbligato e coatto, dovevano stare nelle miniere per anni, a oltranza, fino a che i minatori non avrebbero riscattato il loro passaggio. Intanto incassavamo il carbone. Era uno scambio uomini-carbone.
Io mi chiedo: tutte queste misure di ostilita', di avversione, di esclusione, hanno un efficacia, infilano un preservativo al nostro Paese o no? Uomini che affrontao questi viaggi, vengono dissuasi, con queste misure, con il reato di immigrazione? Per niente. E' falso che abbiano la seppur minima efficacia. Nemmeno la pena di morte servirebbe. Ma sanno aizzare i peggiori sentimenti, e produrre e lucrare consenso politico. E' mai possibile che in politica non si possano sfruttare i sentimenti opposti. E' mai possibile che non si possa trarre profitto dai sentimenti di solidarieta', di fraternita' e di uguaglianza?".

Luca Galassi

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lunedì 7 settembre 2009

Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine,

ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,

chi non cambia la marca o colore dei vestiti,

chi non rischia,

chi non parla a chi non conosce.

Lentamente muore chi evita una passione,

chi vuole solo nero su bianco e i puntini sulle i

piuttosto che un insieme di emozioni;

emozioni che fanno brillare gli occhi,

quelle che fanno di uno sbaglio un sorriso,

quelle che fanno battere il cuore

davanti agli errori ed ai sentimenti!

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo,

chi è infelice sul lavoro,

chi non rischia la certezza per l’incertezza,

chi rinuncia ad inseguire un sogno,

chi non si permette almeno una volta di fuggire ai consigli sensati.

Lentamente muore chi non viaggia,

chi non legge,

chi non ascolta musica,

chi non trova grazia e pace in sè stesso.

Lentamente muore chi distrugge l’amor proprio,

chi non si lascia aiutare,

chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna.

Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,

chi non fa domande sugli argomenti che non conosce,

chi non risponde quando gli si chiede qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi,

ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo

di gran lunga maggioredel semplice fatto di respirare!

Soltanto l’ardente pazienza porterà al raggiungimento

di una splendida felicità.

[Lentamente muore, Pablo Neruda/Martha Medeiros]