martedì 7 dicembre 2010

Oriti. Erokamano.

Oriti.
Arrivederci al lago, al cielo, al sole e alle stelle.
Arrivederci a queste strade che cambiano ogni volta che piove. Arrivederci al bush. Profondo bush. Arrivederci alla capanne di fango e legno, alle baracche di mabati, alle case di cemento che almeno sono fresche.
Arrivederci al mercato di Sori e ai suoi negozietti dove trovi di tutto (quasi) come da Reginato. Arrivederci all'odore di omena, ai maiali, alle capre che saltano sulle verdure finchè le donne non le cacciano via. Ma tanto ritornano.
Arrivederci ai pescatori, ai boda boda che vanno pole pole perchè glielo chiedo, all'omino che se gli chiedo di nuovo di ripararmi i sandali me li compra di tasca sua, alle signore delle stoffe e a quelle dei khanga, a chi ci vendeva banane, avocado e peperoni ogni settimana e (forse) pensava mangiassimo solo quello. Fino a quando abbiamo comprato anche le patatine fritte.
Arrivederci a Gino, ai gattini che non ho fatto in tempo ad addomesticare, alle scimmie che tra un pò le trovo sulla poltrona a farsi una banana split e me la offrono pure, ai lakeflies, agli uccellini che ora posso sentire, agli ippopotami che non sono mai riuscita a vedere, alle aquile pescatrici che si fanno sempre più vicine, alle mucche in giardino, per strada e ovunque tu vada, agli asini assonnati e sovraccaricati, ai cani tutti uguali ma forse il papà è uno solo ed è poligamo.
Arrivederci al chapati, ai green grams, all'ugali, al nyoyo, alla tilapia, al kuku, alle pannocchie arrostite, ai mandazi, ai samosa, al riso e al jiko. Arriverderci alle bananine, all'ananas, alla papaya, al mango, al passion fruit, all'avocado e pure alle mele e alle arance, che in Italia sono più buone ma per la fruit salad vanno benissimo, tanto si mescola tutto col succo tropical.
Arrivederci alla corsa col sole in faccia e la polvere agli occhi. Arrivederci alle "mie" bambine.
Arrivederci alla mosquito net e alla malaria, che sono già a quota tre e alla prossima gioco il jolly o passoparola.
Arrivederci alla Bajaj che non ha mai perso l'equilibrio nonostante tutte le volte che ho pensato fosse giunta la nostra ora (mamma, scherzo!!)
Arrivederci ai matatu che si sa quando si parte perchè è pieno ma non si sa quando si arriva. E il viaggio diventa quasi più interessante della meta, se non mi addormento per strada.
Arrivederci Karungu.

Erokamano.
Grazie alla mia ONG che mi ha dato un lavoro e la possibilità di trascorrere tre anni a Karungu.
Grazie al St. Camillus M. Hospital che mi ha accolta e mi ha offerto quella che è stata la mia home away from home. Grazie a father Julius, brother David, padre Emilio, father Martin e ai novizi. Soprattutto, grazie a Super(padre)Mario. Ti lascio la cocacola e il formaggio in frigo. Le carte sono al solito posto.
Grazie a padre Claudio e padre Gerardo di Kiranda, a suor Lucia di Macalder, a padre Avi e fratel Albano di Tabaka, a suor Olimpia, suor Lucia e suor MariaGrazia di Rongo per tutte le chiacchiarate e le risate e per tutto quello che fate da tantissimi anni in questo Paese che sento ormai un pò mio.
Grazie a Lovissimo e all'unica persona al mondo che lo dice.
Grazie a mamma Anna, papà Paolo, Eros, Morghi, Mo, Ico, Renè, Nancy, Eric, Matilde, Nicolò e a tutta la mia famiglia, in particolare le mie mitiche zie. Dicono in Africa: "Siamo quel che sono. Sono quel che siamo".
Grazie a Gino e a tutto il team. Nel cielo di Karungu brilla ancora di più.
Grazie a Te che porti pazienza nonostante tutte le volte che go tirà basso el Signore, a Madonna e tutti i Santi. E se ogni tanto fai scelte discutibili Tu, pensa gli uomini.
Grazie a Vale, Cri, Moka, Laura, Lara, Lorenza, Cri e Sonia per esserci sempre, anche quando sembra che non ci sentiamo mai. Grazie perchè c'eravate prima, durante e sicuramente anche dopo. Grazie perchè ve ciamerò "e tose" anca a 70 anni. Ve vojo ben. E ve strucco.
Grazie a MamaKenya, padre Alex, Andrea, MaTe, Julian, Nico, Davide, Giulia, Gabriella e Giuliano, Evelyn, i Valletti, Cristina, don Lucio, Fulvia, Isabella e a tutti coloro che ho conosciuto a Karungu e si sono rivelati persone preziose. Con alcuni ho condiviso solo una manciata di giorni, altri mi sono stati accanto a lungo per poi proseguire per strade diverse, altri ancora continuano a esserci e a farmi sentire forte la loro presenza. A tutti voi, grazie.
Grazie al Dala Kiye e a chi lo rende possibile: vedervi crescere e diventare grandi e forti mi fa credere che i miracoli possono ancora accadere.
Grazie ai miei co-worker e agli amici di Karungu: grazie a Meshack, Dominic, Manas, Symphrose, RoseMary, Lucy, Daniel, Boniface, Wilkista, Maria, Kevin, Andrew, Elicath, Ken, Daniel, Mary, Nancy, William, Paul, Maurice, Lillian, Teresa, Carolyne, Irene, Mary, Dorah, Frank, Florence, Viola, Irene, Joseph, Elisha, Job, William, Richard, George, Elizabeth, John, Kephas, Alila, Wycliff, Coath, Elizabeth, Beatrice, Peris e molti altri ancora. Grazie perchè avete reso possibile questo progetto. Perchè vi siete presi cura di me. Perchè mi avete offerto la vostra amicizia. Perchè mi avete accolto a casa vostra e alla vostra tavola. Perchè mi avete fatto ridere, arrabbiare, divertire e lavorare. Perchè avete reso Karungu un posto che non potrò dimenticare.
Grazie a Christine, Lauren, Amanda, Kayla, Liz ed Emily. Grazie per avermi fatto vedere la faccia sorridente del volontariato. L'America non è poi così lontana.
Grazie a don Luciano, don Renato, father Christopher, grazie a WelcomeToTheFamily e al BoysRanch. Grazie ai vostri ragazzi meravigliosi e alle vostre dolcissime ragazze. Grazie perchè a Nakuru ho preso alcune delle decisioni più importanti della mia vita. E l'avete resa più bella.
Grazie a Jimmy.
Ma soprattutto. Grazie a Biron, John, Alphons, Kevin, Bernard, Austin, Dominic, Silermina, Fidel, Mercy, Trezy, Steven, Ivone, Granton, Fred, Angelo, David, Lillian, Paul, Vivian, Conrad, Michelle e a tutti i bambini che ho incontrato in questi tre anni. Vi devo tutto. Tutto. Vi devo ogni carezza, ogni manina, ogni sorriso, ogni lacrima, ogni gioco inventato, ogni matita colorata, ogni canzoncina, ogni corsa, ogni risata, ogni Idhi nade? Adhi maber. Vi devo tutto quello che ho imparato. Vi devo tutto il mio bene. Take care.


Oriti Karungu, erokamano. Kwaheri Kenya, asante.
Perchè è un arrivederci mica un addio.
See you later.

venerdì 3 dicembre 2010

Keep you posted!

Ci sono state Tuk e Paola. Quindi Giovanni, Olimpia, Sandra. I Camillians con gli "zii di Luca" e poi Andrea, Ivan, Antonella, Paola, Martina, Maria Teresa, Patrizia, Joyce, Roberto, Mara e Priscilla. L'andirvieni di ospiti continua, alla missione St. Camillus, con il suo calendario di arrivi e partenze.
Tra poco, parto io. Il progetto è chiuso, l'ufficio è pieno di scatoloni, a casa sono ricomparse le valigie.
Tra poco, perciò, chiude anche il blog. Vi terrò aggiornati ancora per un pò, dopodichè potrete trovare notizie di Karungu leggendo il blog di una nuova giovane "mzungu lady":

Emily in Kenya

Keep you posted! Enjoy!

mercoledì 1 dicembre 2010

World Aids Day 2010

Prendi un Sorriso,
regalalo a chi non l'ha mai ricevuto.
Prendi un Raggio di sole,
fallo volare là dove regna la notte.
Scopri una Sorgente,
fa bagnare chi vive nel fango.
Prendi una Lacrima,
posala sul volto di chi non ha pianto.
Prendi il Coraggio,
mettilo nell'animo di chi non sa lottare.
Scopri la Vita,
raccontala a chi non sa capirla.
Prendi la Speranza,
e vivi nella sua luce.
Prendi la Bontà,
e donala a chi non sa donare.
Scopri l'Amore,
e fallo conoscere al mondo.

[Mahatma Gandhi]

lunedì 29 novembre 2010

Tery, Tedy & friends

In perfetto african time, a pochi mesi dall'inaugurazione ufficiale, il nuovo reparto di maternità e ginecologia del St. Camillus M. Hospital è pienamente operativo dai primi di novembre. Da fine agosto, inoltre, il nuovo edificio ospita l'ambulatorio per la PMTCT, il programma di prevenzione della trasmissione del virus dell'HIV/AIDS dalla mamma al bambino. E l'andirvieni di donne col pancione mi strappa sempre un sorriso. Adoro le mamme. Sponsorizzato dalla Cooperazione Italiana, in collaborazione con Salute&Sviluppo (Roma) e Pro.Sa (Milano), le due ONG dei Camilliani, la costruzione ci ha preso due anni e mezzo di lavoro. E non solo.
Nonostante i parti in ospedale siano ancora molto pochi rispetto al numero di neonati che vedo quotidianamente a Karungu, la media è aumentata in questi ultimi anni e si spera che le attività di sensibilizzazione ed educazione fatte diano i loro frutti.
Ieri girovagavo per il reparto, e ho conosciuto quattro nostre pazienti con i loro piccoli. Tra i primi nati nella nuova struttura, ci sono due coppie di gemelli, in due stanze una di fronte all'altra: speriamo sia di buon auspicio!
In passato, avere gemelli era visto come una sorta di maledizione. Come spesso accade, quando succede qualcosa di diverso dall'ordinario, si dava la colpa ad un destino infausto. Per tradizione, ci si prendeva cura solo di uno, mentre l'altro veniva spesso trascurato, portandolo talvolta alla morte.

In this picha: Tery&Tedy with their mom

Oggigiorno la pratica è caduta in disuso, ma avere due gemelli rimane una situazione non facile. Quando stamattina sono andata a farle una foto, non potevo ignorare lo sguardo tra l'affettuoso e lo spaventato della mamma di Tery e Tedy: nei suoi occhi era chiaro l'amore per quei due fagottini. Ma nè lei nè il marito parlano inglese, il che significa che non sono mai (o quasi) andati a scuola. Non ho potuto evitare di chiedermi che lavoro fanno, se ce l'hanno. E come faranno a far crescere i loro bambini. Ma ogni cosa al suo tempo; per ora i gemelli, un maschietto e una femminuccia, dormono beati in braccio alla loro mamma. Sono adorabili. Come gli altri piccoli ospiti, del resto. Purtroppo, non vi posso presentare gli amici di culla di Tery e Tedy, perchè i loro genitori non hanno ancora deciso come chiamarli. Niente di strano, a Karungu. A volte si aspettano settimane, se non mesi. Questo accade soprattutto quando i bambini nascono a casa. Fino a quando non ci si reca a registrarli, il nome è un aspetto secondario, e può anche subire delle variazioni nel tempo, fino alla decisione definitiva.


Di solito, un bambino luo prende tre nomi. L'ultimo è quello del padre o della famiglia o del villaggio di appartenenza. Il primo nome è quasi sempre di origine cristiana o comunque occidentale. I nomi più in voga per le femmine sono Mercy, Faith e Vivian, mentre tra i bambini spopolano John, William e Samuel, per dirne alcuni. Talvolta, i genitori si fanno prendere dal personaggio del momento: Elvis Presley fa il pescatore a Sori; James Brown abita appena fuori l'ospedale; Bill Clinton è stato ricoverato con la malaria (e c'è stata pure una Monica Lewinsky); Churchill e Kennedy vivono nelle casette del Dala Kiye; un altro Kennedy fa il giardiniere alla missione; Equator e Land Cruiser sono nella lista delle famiglie sponsorizzate per il NHIF, l'assicurazione sanitaria. Di recente, ho perso il conto dei piccoli chiamati Barack, Obama o Michelle. Naturalmente, non mancano i bambini che hanno preso i nome dei religiosi camilliani: a Karungu c'è più di un Emilio, Mario, Alba (per Albano) e Alex. In questi ultimi anni, sono nati varie Lauren, Christine, Kayla, Amanda e Angela. E di sicuro nascerà qualche Emily, la nuova infermiera volontaria del CMMB che si ferma un anno a Karungu.

La scelta del nome crea anche momenti bizzarri: Kayla ha aiutato una famiglia di Otati. La mamma ha deciso, per ringraziarla, di chiamare la sua bimba come la giovane mzungu, salvando la piccola dal vedersi registrare come DotCom. Steve, un infermiere del SCMH e amico di Amanda, quando la moglie ha partorito un maschietto ha ovviato il problema chiamandolo Ailleo, che di Amanda è il cognome. Anche un mio amico voleva chiamare la sua bimba Zanella ma, papà perdonami, non mi sembrava il modo migliore di tramandare il nome di famiglia! E a proposito di famiglia, a Karungu ci sono anche un baby Paul e una baby Ann, come i miei genitori.
Nella tradizione luo, il nome più usato è il secondo, che indica il momento della giornata, le condizioni atmosferiche o la situazione particolare in cui il bimbo è nato. Di solito, il nome luo di un maschio comincia per "O", quello di una femmina per "A". I più comuni sono:

- Otieno/Atieno = nato di notte
[Otieno = Notte]

- Odiwuor/Adiwuor = nato a mezzanotte
[Odiwuor = Mezzanotte]

- Owuor/Awuor = nato tra mezzanotte e l'alba
[Wuor = Oscurità, buio]

- Omondi/Amondi = nato all'alba [5-6am] o prima del tempo previsto
[Mondo = presto, ma anche prima del tempo, in anticipo]

- Okinyi/Akinyi = nato dopo l'alba [6-10am]
[Okinyi = Mattino]

- Onyango/Anyango = nato di mattina [10am-12]
[Nyango = Prima parte del giorno, mattino]

- Ochieng/Achieng = nato quando il sole splende [12-4pm]
[Chieng = Sole]

- Odhiambo/Adhiambo = nato nel tardo pomeriggio, sera, dopo il tramonto [4-7pm]
[Odhiambo = Sera]

- Okoth/Akoth = nato nella stagione delle piogge, mentre pioveva
[Koth = Pioggia]

- Ooro/Aoro = nato nella stagione secca
[Oro = Secco, ventoso]

- Oluoch/Aluoch = nato in un giorno di nebbia, foschia
[Luoch = nebbioso]

- Odoyo/Adoyo = nato durante la preparazione dei campi
[Doyo = estirpare]

- Okomo/Akomo = nato in tempi prosperi/durante la semina
[Komo = seminare]
L'idea è che la semina è un momento positivo, in cui la famiglia spera di avere un buon raccolto e avere di che sfamare i propri figli.

- Okeyo/Akeyo = nato durante il raccolto
[Keyo = raccogliere]

- Okech/Akech = nato in tempi di carestia
[Kech = carestia]

- Opiyo/Apiyo = primo nato tra due gemelli
[Piyo = Primo, più veloce]

- Odongo/Adongo = secondo nato tra due gemelli
[Dong = Ultimo]
Oggiogiorno, alcune coppie non seguono questa tradizione in caso di parto gemellare, perchè è qualcosa legato al passato e non vogliono che il primo nato abbia maggiori diritti del fratello.

- Okello/Akello = nato dopo una coppia di gemelli
[Kelo = Nuova generazione]

- Ouma/Auma = nato podalico
[Uma = verso il basso]

- Owino/Awino = nato con il cordone ombelicale intorno al collo
[Wino = Corda]
Il nome viene usato anche quando un bambino nasce nel periodo in cui il grano è maturo e si vede la parte fibrosa della pannocchia, che può essere utilizzata per realizzare delle corde naturali.

- Odero/Adero = nato vicino al granaio
[Dero = Granaio]

- Ooko/Aoko = nato fuori dall porta, all'esterno
[Oko = Fuori, esterno]

- Okumu/Akumu = nato misteriosamente
[Kum = Punizione]
Il nome viene assegnato quando un bambino è concepito subito dopo la nascita del fratello. La tradizione impone, infatti, un periodo di astinenza dopo il parto. Se una donna rimane incinta subito, invece, significa che la coppia ha infranto le regole e quindi il bambino sarà una specie di punizione per la famiglia. E' considerata una nascita misteriosa perchè così vicina alla precedente da far pensare che la donna non abbia ricominciato ad avere il ciclo mestruale tra le due gravidanze.

- Owiti/Awiti = Gettato
[Wito = abbandonare, rifiutare]
Capita che la madre rifiuti in un primo momento un bambino nato da un parto molto difficile. Oppure che il bambino vengo abbandonato, per le più svariate ragione. Questo nome viene anche dato, però, a chi nasce dopo una serie di aborti o bambini morti in tenera età.

- Ochola/Achola = nato dopo la morte del padre
[Chola = nome di un rito]
In passato, in caso di morte del marito, dopo il funerale la moglie doveva trascorrere un periodo con i suoi genitori. Dopodichè, veniva sacrificata una mucca e la donna poteva tornare a casa, portando con sè parte della carne macellata.

- Obura/Abura = nato durante un funerale
[Bur = Buco, fossa]

Il mio nome luo è Akinyi, perchè sono nata alle 7 del mattino. E voi?

sabato 20 novembre 2010

Inside the community: Home Based Care

C'è un altro mondo. Ed è in questo, diceva Paul Eluard.
E' esattamente questa la sensazione che si ha incontrando la comunità di Karungu e dintorni. Un mondo a volte incomprensibile, altre affascinante, un mondo lontano e vicino, un mondo che offre sempre motivo di imparare, un mondo che a volte si vorrebbe cancellare. Un mondo, in ogni caso, degno di rispetto.
Una delle attività del St. Camillus M. Hospital è l'Home Based Care: l'ospedale ti viene direttamente a casa. Gli operatori sanitari lavorano con la comunità in diverse aree non troppo lontane dalla missione e visitano settimanalmente alcune famiglie. In particolare, l'idea dell'assistenza a domicilio è nata come servizio per le donne in gravidanza o con bambini piccoli, ma si estende anche alle altre famiglie in difficoltà o particolarmente povere.
Questa settimana ho accompagnato Irene, una delle nostre operatrici comunitarie, in una delle sue visite sulla zona collinare nei pressi di Lwanda, una manciata di chilometri da Karungu.
Come spesso accade, la vista sul lago Vittoria è spettacolare e il villaggio è circondato da un susseguirsi apparentemente infinito di verdi colline. Ma a parte ciò, la vita è dura da queste parti. Il lago sembra un miraggio irrangiungibile, ed è la principale fonte d'acqua. I fili della corrente elettrica rompono l'armonia del paesaggio, ma non saprei dire quante famiglie possono accedere al servizio. La strada è di terra e quando piove risalire la collina non dev'essere semplice.
Eppure, come spesso accade, la gente è ospitale e accogliente, sempre pronta a invitarti a casa e a raccontare la loro storia. A volte così inconsueta per chi non vive qui, da sembrare inventata come i nomi che userò. E invece sono semplici storie di vita quotidiana.
Abbiamo incontrato Mary, giovane sposa circondata da una decina di bambini. Solo metà sono suoi, gli altri sono i figli della co-wife, la seconda moglie del marito. Oggi non sono a casa: lui ha una moto e lavora come boda-boda, come "taxi" a Sori e dintorni, lei è andata al mercato a vendere i prodotti che coltivano nell'orto, lo shamba.
Mary è rimasta a casa con i bambini, di cui si prende cura come se fossero suoi. Un'allegra e colorata brigata di sorrisi divertiti. Ci racconta che si è sempre presa cura dei piccoli, perchè è la prima nata nella sua famiglia. E che lei e la co-wife vanno molto d'accordo, cosa che non sempre accade. Vorrebbe venire alla missione per sottoscrivere l'assicurazione sanitaria per lei e i bambini, ma non sa come portarli tutti a Karungu. Alcuni sono nati in ospedale, altri a casa, perchè le doglie sono arrivate improvvise e ha capito che avrebbe partorito a breve. "E partorire lungo il tragitto non mi sembrava l'idea migliore." Come darle torto?

In this picha: "Mary" and her children
With her, wearing a red t-shirt, Irene

Non lontano da Mary vive un'altra famiglia a cui Irene fa spesso visita. Ma oggi sono al mercato. I vicini di casa ci salutano e ci invitano a fare due chiacchiere. Sono una coppia di anziani che conoscono Irene e la sua attività e sono molto contenti di quello che fa al villaggio. I due sembrano molto affiatati; chiediamo da quanto tempo sono sposati e quanti figli hanno. John ci dice che non hanno figli e che vivono insieme da pochi anni. "Da quando è morto mio fratello". Carolyne, infatti, è la cognata di John. "Mio fratello aveva quattro mogli. Lui e due mogli sono morti. Le altre due le ho ereditate io. Ma ho anche una moglie che ho sposato quando ero giovane. Vive a pochi minuti da qui. Venite a conoscerla!" E così incontriamo Beatrice. Dal loro matrimonio sono nati otto figli. Sul numero dei nipoti c'è un pò di confusione, ma le due donne alla fine concordano su undici. Prima di andare, John ci chiede di fargli una foto insieme alle mogli. La terza non dev'essere molto apprezzata, e non ci viene presentata.

In this picha: "John" and his wives

Judy ha partorito due mesi fa, nella capanna alle sue spalle. Con lei ci sono altri due bambini, un maschietto di circa due anni e una femmina di circa sei. Judy non sa esattamente quando sono nati i suoi figli, e dopo qualche domanda per cercare di fare ordine tra le varie gravidanze, lasciamo stare. Anche Judy è una co-wife. L'altra moglie e il marito sono fuori per delle commissioni. Lei è rimasta a casa con la piccola, ma ha un grande aiuto dalla figlia maggiore. Quando arriviamo sta portando un fascio di rametti per il fuoco, e durante la nostra visita si occuperà più volte del fratellino. Non siamo riusciti a strapparle nemmeno un sorriso. Ma forse se dovessi farmi almeno cinque chilomentri a piedi ogni giorno per andare a scuola e al ritorno non sempre c'è da mangiare e mi devo prendere cura di mio fratello invece di andare a giocare, non avrei molto da ridere neppure io. Irene ha seguito Judy durante la gravidanza. La piccola dorme beata tra le sue braccia, mentre i fratelli si aggrappano alla gonna della mamma. Judy li segue di continuo con lo sguardo, anche mentre parla con noi.

In this picha: "Judy" and her baby

Il cognato di Judy ha "sposato" Molly. Molly ha sedici anni e un gran sorriso. Molly ha una qualche disabilità mentale. E aspetta un bambino. Molly è alla sua seconda gravidanza, il primo figlio non ce l'ha fatta. Irene verifica il libretto con gli appuntamenti e i controlli fatti in un vicino dispensario. Ci pensa la nonna di Molly ad accompagnarla, e probabilmente si occuperà anche del nipotino. Molly sorride sempre e a volte sembra perdersi in un altro mondo. Chissà se è migliore o peggiore di questo.

In this picha: "Molly"

mercoledì 10 novembre 2010

Outreach activity - MobileClinic@OtatiDepe

Per tre anni, due volte al mese, il St. Camillus M. Hospital ha organizzato una mobile clinic, offrendo i suoi servizi direttamente sul territorio. In particolare, abbiamo collaborato con il dispensario governativo di Otati, un villaggio dalla bellissima vista sul lago, in cima ad una collina, a circa 15km da Karungu. Ci si mette più di mezz'ora a raggiungere Otati, perchè la strada è pessima, e quando piove è pressochè impraticabile. A Otati la clinica mobile è composta da due infermiere della clinica prenatale dell'ospedale e da un consulente VCT. Il consulente offre informazioni e test gratuiti dell'HIV/AIDS a tutti coloro che lo richiedono. Ma l'attività principale è l'assistenza alle donne in gravidanza e la cura dei bambini sotto i 12 anni.
Ecco come funziona.

Le donne in gravidanza ricevono consulenza e assistenza da parte delle infermiere del St. Camillus M. Hospital. Tutte le pazienti ricevono un libriccino realizzato dal governo keniota con utili consigli sulla gestazione e sul post-partum. Le future mamme vengono accolte e istruite su come prendersi cura di sè e del proprio bambino in un momento così importante. Dopo la nascita, i bambini verranno inseriti in un apposito registro governativo.

Alle mamme viene proposto il test dell'HIV/AIDS. Se il test è positivo, le gestanti vengono riferite alla clinica per gli antiretrovirali dell'ospedale, in modo che possano cominciare la terapia. Inoltre, vengono inserite nel programma PMTCT [Prevention of Mother To Child Transmission = Prevenzione della Trasmissione da Mamma a Bambino] attraverso il quale si limita il contagio del virus dalla madre al piccolo. La trasmissione può avvenire durante la gravidanza, ma soprattutto durante il parto e, in seguito, durante l'allattamento. Con farmaci adatti, e in caso di parto ospedalizzato, si può ridurre di molto la possibilità che il neonato sia sieropositivo. Le mamme, inoltre, ricevono consulenza e supporto psicologico, durante la gestazione e anche nei primi mesi di vita del bambino, per essere preparate a gestire la situazione.

Tutte le mamme vengono visitate dalle infermiere del St. Camillus M. Hospital. Si controlla il peso, la pressione, il battito fetale e si verifica l'andamento della gravidanza attraverso la palpazione. Naturalmente non c'è l'ecografo a Otati. E alle mamme non interessa sapere se il bimbo sarà maschio o femmina. "L'importante è che sia sano", qui, non è solo un modo di dire. Le mamme ricevono quindi vitamine e altri farmaci utili a portare avanti la gravidanza nel modo migliore.

Il personale del dispensario di Otati, in particolare l'infermiere John e la carinissima volontaria Florence, visitano i bambini sotto i 12 anni e vaccinano quelli sotto i 5: la mobile clinic è un servizio per tutta la famiglia!

Dopo la visita, a mamme e bambini vengono offerti un pacchettino di biscotti e una confezione di latte. Da quando è stato introdotto questo "premio" finale, il numero dei pazienti è decisamente aumentato. Ci sono donne che camminano per chilometri per raggiungere Otati e ricevere assistenza e garantire ai propri figli quei 5 biscotti e quel mezzo litro di latte, anche se solo due volte al mese. La mobile clinic si svolge il venerdì, perchè è giorno di mercato. Molte mamme arrivano nel pomeriggio, perchè prima di venire alla visita devono lavorare nei campi, badare al bestiame, prepare il pranzo e sistemare la casa. Prima di rientrare, ne approfittano per fare la spesa al mercato, che comincia verso le 17. Sarà per via di tutte queste donne col pancione e bambini piccoli, ma il mercato di Otati è carico di allegria.

Ci vogliono sei mesi per sapere se un bambino nato da madre sieropositiva ha contratto o meno il virus. Ma ogni nuovo bimbo che nasce dopo che la mamma è stata seguita dalla mobile clinic, è un dono prezioso. Anche quando, come la ragazza a destra nella foto, si ha solo 16 anni. D'altronde, non è forse la migliore delle soddisfazioni la faccia paffuta e beata della bimba con i pantaloni verdi?
Io dico di sì. Decisamente, sì.

mercoledì 3 novembre 2010

The fishermen

Ogni sera la scena si ripete, sempre uguale, sempre la stessa, come un rituale dai gesti precisi.
I pescatori escono dalle loro case portando con sè le lanterne illuminate a paraffina, una luce forte e innaturale, una processione di lucciole nel buio totale della notte di Sori.

In this picha: come to see the real life beyond the fairy-land

Da lontano si vedono solo tante piccole luci. Sembra una città delle fate senza rumore, senza colore. Solo quei puntini luminosissimi a bucare il nero, come se il lago fosse un gigantesco specchio, capace di riflettere il cielo.Al porto l'aria è impregnata dell'odore di omena e marjuana. Fumano i pescatori, prima di uscire, l'erba che alcuni coltivano dietro le baracche. E bevono changaa, superalcolico di pessima qualità prodotto localmente non so bene nè dove nè come. Ne bevi un sorso e ti gira già la testa. Tra il fumo e l'alcol, la realtà si fa vaga. Non pensi a niente. Non senti niente. Soprattutto, non senti la paura. Perchè il lago di notte è una macchia nera senza pietà, e i pescatori non sanno nuotare. Anche tra la gente di Sori solo pochissimi sanno nuotare. Molti pensano che il lago non lasci scampo comunque, tanto vale affogare subito e farla finita.
Tuttavia, c'è un'atmosfera surreale al lago la sera, un'euforia indotta tra i giovani pescatori: c'è chi ascolta musica, chi chiama chissà chi a gran voce, chi suscita risate con frasi senza senso. Ma c'è anche chi, in silenzio, lavora, accende le luci, le fissa ai supporti, controlla che la barca sia a posto, che i remi non siano rotti, che le reti siano pronte. Sembrano tanti amici pronti per andare ad una festa, ma in realtà molti si conoscono appena.

In this picha: a fisherman checks the lights

I pescatori vengono da villaggi dell'interno, si trasferiscono a Sori per qualche mese in cerca di fortuna. Se la trovano o meno, non saprei. Un lavoro, quello sì. Come funziona? Solitamente gli aspiranti pescatori non hanno una barca e chi vive a Sori ha creato un vero e proprio business nel nolleggio delle proprie imbarcazioni. A seconda delle condizioni in cui si trova, il proprietario può chiedere tra i 300 e i 500 ksh al giorno [3-5 euro]. Serve poi un primo investimento nell'acquisto delle reti e delle lanterne. In genere ogni barca dispone di almeno 5 lanterne da 5 litri ciascuna. La paraffina costa 75 ksh al litro. I pescatori spendono quasi 2.000 ksh [20 euro] al giorno, anzi, la notte, per illuminare il lago. Usano dei supporti di legno incrociato, al centro dei quali viene posta la lampada. La luce attira i moscerini, i moscerini attirano i pesci. Quando i pesci si fanno numerosi, i pescatori lanciano le reti, e il gioco è fatto.

In this picha: a fisherman and a woman preparing the lights

Sono solitamente in quattro, i pescatori. Uno si occupa delle luci, due delle reti, un altro passa la notte a buttare fuori l'acqua che entra dalle crepe della barca.
Pescano tutta la notte, i pescatori. Prima di uscire, spesso vanno con una donna: una tradizione/leggenda del posto sostiene che se si fa sesso prima di sfidare il lago, l'acqua sarà benigna e la pesca copiosa.
Rientrano all'alba, i pescatori, e l'atmosfera è completamente diversa. Gli occhi stanchi e vuoti, i movimenti lenti nel portare le barche a riva, il freddo nelle ossa, i vestiti bagnati se di notte c'è stato un temporale. Ma non è ancora finita, anzi. Ad aspettarli ci sono le tante donne che vanno a comprare il pesce per poi rivenderlo al mercato. La notte si pesca l'omena, un pesciolino ino ino dall'odore inconfondibile.

In this picha: women collecting omena in tabla and basins

L'omena si vende in tabla o in bacinelle. Una tabla costa tra i 150 e i 250 ksh [1 - 2 euro e mezzo] e contiene pesce per decine di persone. Le bacinelle di plastica colorata invece costano tra i 500 e i 750 ksh [5- 7 euro] e hanno omena per moltissima gente per più giorni. Dopo aver acquistato il pesce dai pescatori, le donne lo fanno seccare sulle reti stese al sole, e quindi lo rivendono al dettaglio.
Nei giorni più fortunati, si riesce a vendere anche 15 - 20 bacinelle di pesce. Se l'andamento del mercato è favorevole e si può spuntare il prezzo più alto, con 20 bacinelle si guadagnano 15.000 ksh [150 euro]. A questa cifra vanno tolte le spese per la paraffina e il nolleggio della barca, dopodichè si possono dividere i proventi. Se il proprietario della barca si limita a darla in prestito, prende solo i soldi dell'affitto. Se invece esce la notte con gli altri pescatori, ha diritto a metà del guadagno netto. L'altra metà, viene divisa tra gli altri tre uomini, per un totale di circa 2.000 ksh al giorno [20 euro] ciascuno. In un ipotetico mese di pesca propizia, fanno 60.000 ksh [600 euro], che a Sori sono tantissimi soldi. Basti pensare che un infermiere, o un assistente sociale, per esempio, prendono circa 150 - 200 euro al mese a Karungu, ma anche meno. Certo, sono solo ipotesi. Capita che la pesca risulti piuttosto magra. O che non si venda più di 4-5 bacinelle. E la faccenda cambia. Ma forse è anche questo senso di sfida a portare i pescatori a viversi tutto subito. E la notte si ricomincia, e ogni notte è una nuova notte da conquistare.

In this picha:
a fisherman is fixing his net,
while some women dry omena

Se molti pescatori riposano e poi riparano le reti e la barca in vista della prossima notte di lavoro, altri escono anche di giorno, per pescare la tilapia e il pesce persico. La tilapia è un pesce simile all'orata ed è destinata al mercato locale. Una tilapia grande costa 200-300 ksh [2-3 euro] ma di solito la gente compra quelle piccole, da 50 - 60 ksh l'una [50 centesimi]. Il pesce persico invece si vende a peso: ora costa 110 ksh [1 euro] al chilo, ed è destinato alle grandi città e al mercato estero. Parte del pesce persico che si compra nei supermercati italiani, viene da qui. I camion di grosse compagnie come CapitalFish partono tutti i giorni da Sori. Chi ha un contratto con loro ha una situazione più stabile, e spesso dispone anche di una barca a motore.

In this picha: a fisherman fixes his boat

Cosa fare con tutti questi soldi? Alcuni mantengono i buoni propositi che li hanno spinti a lasciare la famiglia e il villaggio. Mettono da parte il denaro, mandano qualcosa a casa, con il tempo avviano qualche piccola attività: comprano una moto per il servizio di "taxi", aprono un negozietto, cose così. Ma sono una minima parte dei tanti pescatori che affollano Sori.
La stragrande maggioranza di questi giovani, per la prima liberi dai legami famigliari e con un sacco di soldi in stanca, semplicemente li spende. Sostanzialmente, in due modi: changaa e donne. Alcune si prostituiscono e vengono pagate. Altre, invece, fanno parte di un sistema tutto keniota, anzi tipico di questa zona: il sex for fish. Sono donne e madri, spesso con bambini piccoli, che si concedono ai pescatori per ricevere pesce e sfamare chi è a casa. I pescatori, lontani dalle famiglie e magari dalle proprie mogli e fidanzate per mesi, accettano volentieri lo "scambio" di favori. E l'HIV/AIDS dilaga. Non solo tra i pescatori, e non solo a Sori. Perchè i pescatori prima o poi tornano a casa.
Anche il diffondersi del virus qui sembra una scena che si ripete, sempre uguale e diversa, sempre nuova e la stessa.
Chissà cosa pensano la notte, i pescatori, nella città delle fate.

Special thanks for the night picha: Claudia
Special thanks for the day picha: Iris

venerdì 29 ottobre 2010

Karibu Serena!!! :)

è nata! benvenuta piccola Serena!

congratulazioni

a papà Damiano e a mamma Mignon.. ops, Monica! :)

martedì 26 ottobre 2010

Rest in Peace, Akuku Danger

Piange il cielo di Karungu, quasi ogni giorno, prima e dopo il tramonto. Quando il sole incontra il lago la pioggia cessa e come un sipario si apre su questo magico spettacolo che si ripete con meraviglia sera dopo sera. It's so romantic.
Chissà se anche Akuku Danger aveva tempo per il romanticismo. Di sicuro ne aveva per corteggiare, anche se da quanto diceva, gli bastava un attimo, per questo lo chiamavano "danger", perchè era un tipo "pericoloso", nessuna donna sapeva resistergli. I giornali locali, Daily Nation e theStandard in primis, hanno dedicato lunghi articoli ad Ancentus Akuku, morto a 92 anni ai primi di ottobre, ma di lui si era già occupata più volte anche la stampa internazionale.
Perchè Akuku era, probabilmente, il poligamo più incallito del mondo. I dati sono diversi, ma è comprovato che abbia sposato oltre 100 mogli, la prima nel 1939 e l'ultima nel 1997, quando lui aveva 79 anni e lei 19. Secondo i costumi luo, dei vari matrimoni solo una quarantina sono stati riconosciuti. Ma questo non gli ha impedito di vivere anche con le altre donne e di generare centinaia di figli, da cui sono arrivati un numero imprecisato di nipoti e bisnipoti. L'ultimo nato in famiglia, tuttavia, forse è proprio il suo ultimo bambino: è arrivato appena tre mesi fa.
Ad Aora Chuodo, dove viveva, ha fondato due scuole primarie e una chiesa, per accogliere tutta la sua famiglia. E molti dei negozi della zona gli appartengono. Ma la dinastia Akuku ha da tempo varcato i confini di Nyatike District e anche del Kenya: i suoi figli, molti dei quali sono medici, ingegneri e quant'altro, vivono all'estero. A quanto dicono, sapeva i nomi di ognuno di loro. Era fermo e con una spiccata capacità organizzativa, ma anche presente e attento. Tutti hanno ricevuto un'educazione e anche chi è ancora a scuola non avrà problemi a terminare gli studi perchè non lascia debiti e ha insegnato ai più grandi a badare ai più piccoli.
A sentire le mogli, poi, è stato un ottimo marito. Ognuna aveva un compito e si occupavano di lui a rotazione, mentre la notte arrivava a sorpresa e, a quanto dicono, sempre gradito, perchè essendo in tante non ricevevano spesso le sue visite.
Era così affascinante da aver sposato anche tre o quattro sorelle della stessa famiglia.
Sembra una storia del passato e invece è oggi, anche se la sua vita ha dello straordinario pure in Kenya, dove la poligamia è legale e ampiamente praticata.
Un uomo e un personaggio, che ora riposa nella camera mortuaria del St. Camillus M. Hospital, in attesa del funerale, il prossimo 4 dicembre. Quando si è sentito male, una ventina di giorni fa, è stato portato in ospedale, ma la situazione era grave ed è stato subito organizzato di portarlo a Kisumu. Un lungo viaggio invano, perchè Akuku è deceduto durante l'accettazione.
Io l'ho conosciuto proprio al St. Camillus, qualche mese fa, mentre aspettava alcune nipoti al VCT. Era vestito esattamente come nella foto in alto, che era un pò la sua divisa: pantaloni corti e camicia, il cravattino e il cappello, gli occhiali scuri e il bastone, i calzini a metà gamba. Un dandy. Mi avevano colpito i pantaloncini: quasi nessuno porta i calzoni corti a Karungu, tranne i bambini. Come sia stato da giovane non lo so, ma a 92 anni era ancora un uomo molto alto e snello, dalla schiena dritta e dall'aspetto forte. Una bella voce e lo sguardo malandrino, da latin lover di lunga data. Pare che alcune delle sue mogli abbiano lasciato i precedenti fidanzati per lui, e non se ne siano mai pentite. Contente loro. Perchè a casa Akuku vigeva la disciplina e le regole le stabiliva lui, ma ricompensava le consorti non facendo mai mancare loro niente. E ha pure divorziato da chi non si comportava bene. Insomma, ci si dedicava, alla famiglia, e aveva fatto della poligamia uno stile di vita. Ciononostante quando, sornione, con una franca risata mi ha chiesta in moglie, ho declinato la proposta. "Ne ho già tante, ma una bella mzungu come te mi manca" mi ha detto. Grazie Akuku, da un esperto di donne come te, il complimento vale doppio, ma proprio non posso. Niente di personale, eh?
Rest in peace.

Picha from Daily Nation & theStandard

domenica 24 ottobre 2010

Traffic jam in Karungu

Perchè anche il traffico, a Karungu, è una questione di punti di vista.



In this video: traffic jam in Karungu. Enjoy!

martedì 19 ottobre 2010

It doesn't make any sense

Scriveva Lauren quasi un anno fa nel suo blog su Karungu: "it doesn’t matter how long I have been here. There are some days that I am just dumbfounded by what I hear and see. Times that I find myself asking “Why is this happening?!” Times when I just want to bang my head against the wall because it doesn’t make any sense."
Non si può morire a 19 anni per una banale complicazione da parto, quando si è sieronegativa e si ha appena dato alla luce un bel bambino che non ricorderà la madre. Fortuna che con lui ci sono i nonni, e una capra gli darà il latte.
Nonostante la campagna di prevenzione stia funzionando, domenica ha partorito l'ennesima ragazzina di 16 anni. Anche lei sieronegativa, e brava che è venuta in ospedale. Solo con la mamma, il padre del bambino chissà dov'era. Ma chissenefrega. Anche in questo caso una complicanza. Il bimbo ha sofferto molto. In un ospedale più attrezzato.. Chissà. Invece è morto stamattina.
Un ragazzo di 19 anni forse morirà. Ha una malattia particolare che si può curare. Per essere sicuri che si tratti di questa specifica patologia serve un esame molto costoso, che la famiglia non si può permettere. E' stato ricoverato la prima volta al St. Camillus quasi un anno fa. E' molto alto, sieronegativo, pesa meno di 50 kg. Ieri l'hanno portato a fare l'esame, perchè è stato trovato un donor. Ma probabilmente è troppo tardi.
Anche Dominic è morto, qualche mese fa. A un anno e mezzo pesava poco più di 4 kg. Era sieropositivo. La mamma fino all'ultimo non voleva fargli fare il test nè sapere il suo stato. Perchè naturalmente se il bimbo è positivo all'HIV lo è anche lei. E preferisce non sapere. Quando in reparto le hanno spiegato che era fondamentale saperlo per poter curare il piccolo che rischiava di morire per malnutrizione e AIDS, la signora ha detto: mi dispiace, ho altri bambini a casa. I primi giorni si rifiutava di allattarlo. Aspettava. Ma Dominic sembrava destinato a farcela. Con i suoi occhi sproporzionati a quella testa e a quel corpicino, guardava tutto e tutti con avidità, come se avesse fame di stare al mondo oltre che di cibo. Con le sue fragili dita si attaccava al lenzuolo del lettino e sembrava che la sua voglia di esserci l'avrebbe salvato. Dopo un breve periodo in ospedale aveva cominciato a stare seduto, la mamma aveva ripreso speranza e si dimostrava più affettuosa, aveva anche deciso di allattarlo di nuovo. E poi, niente. Il buio. A volte non basta desiderare ardentemente una cosa per ottenerla. Non basta attaccarsi al lenzuolo per resistere.
Questa mattina due bambine hanno colorato con i pastelli nel mio ufficio. La mamma mi ha detto che sono a casa da scuola perchè non ha i soldi per la retta. Il marito è morto l'anno scorso e lei con il suo lavoro non ce la fa a coprire tutte le spese, così le bimbe iniziano ogni volta il trimestre fino a quando ci sono i soldi, e poi si vedrà.
Le donne che si rivolgono alla clinica prenatale sono in aumento. Al momento del test dell'HIV, però, spesso si tirano indietro. Non lo vogliono sapere. Oppure dopo il risultato non si fanno più vedere. Perchè se risultano positive, poi lo devono comunicare al marito. Se hanno preso il virus tradendo il proprio compagno, è una tragedia. Se sanno di essere state fedeli, significa che a tradirle è stato lui. Ma è difficile che lui lo ammetta. Più facile che le accusi di essere fredifaghe e le cacci di casa. Gli operatori home based care della missione ne sentono di tutti i colori quando fanno visita a queste signore a casa. L'ospedale offre un servizio gratuito alle donne in gravidanza e, tramite l'assicurazione sanitaria, la possibilità di un parto ospedalizzato. Ma spesso il marito non le vuole accompagnare al momento della nascita. E mica possono farsi chilometri a piedi.
Alla mobile clinic di Otati, dopo tre anni di assistenza alle gestanti, finalmente le future mamme non vedono più il partorire in ospedale come una stravaganza o un lusso ma come un diritto e una necessità. Peccato che Otati sia a circa un'ora di strada impropobile dal St. Camillus, e allora quasi conviene partorire a casa. Con il risultato che dopo essere state seguite durante la gravidanza non è possibile effettuare la profilassi per evitare la trasmissione verticale del virus dell'HIV.
In caso di madre sieropositiva, le linee guida mondiali sconsigliano l'allattamento. In Africa è concesso per i primi sei mesi del nascituro, perchè la famiglia solitamente non ha i soldi per il latte in polvere ed è più probabile che il piccolo muoia in questa fase bevendo l'acqua non salubre usata per preparare il latte artificiale piuttosto che prendere l'AIDS dalla mamma succhiando al seno.
Un ragazzo all'ultimo anno di università viene a trovarmi in ufficio con la mamma per farle da interprete, perchè lei sa solo il dholuo. Siccome parla a voce bassissima e faccio fatica a capirlo, gli chiedo per favore di scrivere quello che mi vuole dire. Impiega almeno cinque minuti per compitare poche righe, ritorna più volte sulle frasi prima di consegnarmi il foglietto e leggendo faccio comunque fatica a capire il messaggio perchè è scritto in un inglese più maccheronico del mio che sono italiana.
Una signora di Otati vive da sola con tre figli avuti da uomini diversi. Il più grande avrà 4 anni. Chiamare casa il posto dove vivono è decisamente eccessivo. E' una delle famiglie più povere che conosco. Sono andata a trovarla e in quella che lei chiama ostentatamente cucina c'erano i tre fratellini soli, sporchi e affamati. Il più piccolo piangeva disperato. Le abbiamo telefonato tramite il cellulare di un vicino. Dove si è cacciata? Quando è arrivata si è scusata, stava lavorando per racimolare qualcosa. Stava aiutando a spalmare il fango sulla capanna di una famiglia, che così si fa i muri. Mi ha detto che i bambini sono sporchi perchè siccome lavora non ha avuto tempo di andare a prendere l'acqua al lago, a una quindicina di chilometri. Le offriamo qualcosa per comprare da mangiare lei ringrazia e replica in dholuo. Chiedo all'amico che mi accompagna di tradurmi ma lui all'inizio si rifiuta. Insisto. Mi dice: ti ha chiesto se le compri un cellulare, così la prossima volta che vieni qui puoi contattarla direttamente e si fa trovare a casa.

giovedì 14 ottobre 2010

Come bambini

In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: "Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?" Allora Gesù chiamò a sè un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: "In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli."

[Matteo, 18:1-5]

In Italia una delle domande più comuni è stata: ma quando torni per restare? Quando torni. Più passavano i giorni e anche io mi chiedevo: quando torni. In Africa. Salvo la mia famiglia e pochi amici, non vedevo motivo di tornare per restare. E’ un’Italia che mi appartiene sempre un po’ meno, che si fa sempre un pò più distante.

Per fortuna ci sono i bambini. Uno dei giorni migliori della mia vacanza italiana l’ho trascorso in compagnia dei piccoli alunni della scuola primaria di San Zeno. La maestra Anna mi aveva chiesto di andare a parlare di Karungu e io avevo accettato senza ben sapere cosa avrei detto. Mi chiedevo cosa potevo dire a dei bambini di 7-8 anni a proposito di Africa.

Ho preparato alcune fotografie e mi sono presentata al mio colorato pubblico. Credo di aver parlato per circa cinque minuti, poi c’erano così tante mani alzate che non sapevo da che parte cominciare.

Mi hanno chiesto praticamente qualsiasi cosa, una raffica di curiosità. E di spontaneità. E voglia di sapere.

Dov’è il Kenya? Che lingua parlano? Come si chiamano i bambini? Abbiamo mostrato loro la cartina e spiegato che qui si parla inglese e kiswahili, ma i bambini di Karungu parlano dholuo. Come chi tra voi a casa parla dialetto, ha spiegato la maestra. Si sono interessati quando ho spiegato come si danno i nomi in base al momento della nascita. E quando ho detto loro che il mio nome luo è Akinyi, perché sono nata di mattina, mi hanno chiesto stupiti: sei nata in Africa? No. O forse sì.

Hanno giocattoli? A cosa giocano? Ascoltano la musica? Ce l’hanno la televisione? E l’orologio?? Quasi non ci credevano quando ho detto che i bambini di Karungu i giochi se li fanno da sé, però sono stati contenti di sapere che adorano ballare e cantare e che in alcuni posti c’è la televisione, anche se non in casa perché non c’è la corrente e quindi niente tv ma anche niente videogiochi, niente frigorifero, niente luce la sera. Niente. Quanto all’orologio, ho alzato i polsi: non lo porto più neppure io.

Una foto che ha colpito molto rappresentava un bambino che faceva il bagno in una bacinella di plastica colorata. Come fanno a lavarsi? Hanno l’acqua a casa? La vanno a prendere nel lago?!? Hanno il sapone? E lo shampoo? E l’asciugamano? Sì sì sì sì!

La parte più difficile è stato spiegare che la maggior parte dei bambini di Karungu è orfana di almeno un genitore. Dell’AIDS non abbiamo neanche accennato, era già abbastanza così. Chi cucina a casa? Chi li aiuta con i compiti? Chi li accompagna a scuola? Un bimbo con gli occhiali ha riassunto benissimo la questione con una domanda che taglia come una lama, pur nella sua semplicità. Come fanno senza la mamma? Perché a casa c’è quasi sempre una zia o una sorella maggiore, e un papà o uno zio o i nonni e degli adulti che decidono di prendersi cura di un bambino non loro. Ma la mamma è la mamma.

Dovevo restare qualche minuto e invece quasi non ci siamo accorti della campanella che suonava. L’ultima domanda è stata da parte di una bambina con lunghe trecce che mi si è fatta vicina prima di tornare a casa. Posso abbracciarti? Certo, tesoro. Un bell’abbraccio forte.

martedì 5 ottobre 2010

Karungu@RadioVaticana

Karungu approda in diretta su Radio Vaticana!
Cliccate sul logo per accedere al sito e ascoltare la registrazione del 30 settembre del programma "Magari", condotto dal globetrotter Lucas Duran. La puntata è stata dedicata interamente alla missione camilliana e in particolare alle attività di prevenzione dell'HIV/AIDS nelle scuole. Enjoy!

sabato 25 settembre 2010

Buon viaggio insieme

In this picha: Laura + Davide :)
Grassie for this picha: Antonio&Lisa

Sabato 25 settembre, nella chiesa di San Zeno, un altro membro della mitica classe '82 è convolato a nozze:

congratulazioni a Laura e Davide!

E ora sotto a chi tocca ;)

giovedì 16 settembre 2010

Let's go

In this picha: a bus in Sori awaiting its passengers

suitcase: ready
passport: ready
plane ticket: ready

traveler: much more than ready

no so ti, ma mi, vo casa

see you later ;)

domenica 12 settembre 2010

Missione

Stasera ascoltavo il lago e mi lasciavo portare lontano. Lasciavo che i pensieri fluttuassero liberi tra le sue onde. Due aquile pescatrici spettegolavano sull’albero di tamarindo davanti a casa mia. Il sole, di un arancione com’è solo nei disegni dei bambini e a Karungu, si tuffava dentro il blu del lago, incendiando un cielo coperto di nuvole. Pioverà.
Pensavo alla missione. Pensavo a quante volte si usa questa parola riempiendola di significati non suoi, come se non fosse già ricca abbastanza. Ricca nella sua povertà, nella sua semplicità.
Perché la missione si vive, non si mostra. Missione è restare curiosi come chi arriva in un posto nuovo, è essere capaci di meravigliarsi come i bambini, è mettere l’altro prima di te.
Missione è imparare che ogni giorno è importante, e che ogni persona è un dono. Missione è aprire la testa e il cuore. Missione è guardare con gli occhi di chi mi sta vicino. E’ ascoltare anche quello che non vorrei sentire.
Missione è essere felici di ciò che si fa. E’ essere in pace con se stessi. Perché missione non è necessariamente partire per un Paese lontano, la vera missione è nel tuo quotidiano. E non occorre nemmeno credere in Dio. Però credere, crederci, quello sì.
Missione è spogliarsi e ridursi all’essenziale. Missione è riflettere e saper aspettare. Missione è divertirsi e sentirsi fortunati. Missione è uscire in strada per venire abbracciati.
Missione è sporcarsi fuori e fare pulizia dentro. Missione è arrivare alla sera stanchi ma con lo sguardo contento. Missione è regola e fantasia. Missione è l’amore in ogni sua via.
Missione è che domani si ricomincia, missione è incazzarsi ma non dargliela vinta. Missione è continuare a correre quando ci si vorrebbe fermare, missione è accelerare quando vorresti solo mollare.
Missione è imparare che non sempre si ha ragione e che chiedere scusa è più di una buona azione. Missione è fa niente se ci rimetto io, che poi i miei conti li faccio con Dio.
Missione è che non importa da dove vieni, ma che ora sei qui e a questa gente ci tieni. E chi se ne frega se fai il primario o il netturbino, a volte il lavoro è solo dovuto al destino. Perchè non conta niente in quale scuola e per quanti anni hai studiato, se a casa il rispetto non te l’hanno insegnato.
Missione non sono i soldi ma darsi la mano e vedere le cose cambiare pian piano. Missione è fare un passo verso di te, e ben venga se è chiaro che non sei come me. Perché da chi è diverso si impara anche se costa fatica, e a volte per accettarlo non basta tutta la vita.
Eppure, in questi due anni e mezzo d’Africa ho incontrato persone che hanno fatto davvero della missione una scelta, una decisione che rinnovano giorno dopo giorno. Persone diverse per colore, credo e nazione. Persone che mi hanno insegnato tantissimo, anche se passare dalla teoria alla pratica non è una facile lezione. Persone a cui va il mio grazie, la mia stima e il mio affetto.
S’è alzato il vento. Non pioverà.

mercoledì 1 settembre 2010

SZG, GAM & friends: Mama Beatrice

"I realised I could make between $2 and $5 a day
which is what I needed to feed the children"
[Christina, second hand clothes seller]

Il mercato di Matumba si trova ad Arusha, in Tanzania, e a quanto dicono è il più grande mercato di abiti usati di tutta l'Africa. La vendita di vestiti di seconda mano è un business che va per la maggiore, anche a Karungu.
Leggendo l'articolo di Thembi Mutch sull'edizione aprile-giugno di BBC Focus on Africa, avevo l'impressione di vedere il mercato di Sori.
"Non ci sono tavoli qui. Tutto, dai pantaloni da uomo ai calzoncini per bambini alle camicette da donna, è ammucchiato per terra senza una logica apparente. Per trovare qualcosa devi semplicemente accovacciarti e cominciare a spulciare, in competizione con le altre [...] clienti che sgomitano per contrattare. Occasionalmente qualcosa è su un appendino, ma è raro."Da dove arriva la merce? Scrive Mutch che si possono trovare "abiti smessi dall'Europa, dall'Asia o dagli Stati Uniti. C'è un misto di vestiti che rivenditori specializzati comprano da associazioni caritatevoli nel Regno Unito e da negozi economici negli Stati Uniti. Articoli difettosi arrivano anche dalle industrie della Thailandia, dell'Etiopia e della Cina. [...] C'è un mondo sotterraneo di persone che si occupano di vestiti di seconda mano. Per vestiario si intende qualsiasi cosa dagli abiti da sera vintage alle scarpe, indumenti sportivi, jeans (che sono particolarmente lucrativi in Africa) e magliette. Anche vestiti che sono stati danneggiati da un allagamento o confiscati per bancarotta e messi all'asta nel Regno Unito dopo essere stati recuperati dalle compagnie assicurative. Ancora una volta, questi vestiti finiscono qui. [...] Il mercato globale vale miliardi."

In this picha: Sori Market
Second hand clothes seller

In tutto l'East Africa ci sono mercati di abiti di seconda mano, ma quello di Matumba è particolarmente apprezzato, tanto che ci sono rivenditori dall'Uganda e dal Kenya che si recano in Tanzania per i loro acquisti da rimettere sul mercato a Kampala e Nairobi. La merce arriva in grandi imballi di tela via nave ai porti di Zanzibar o Dar Es Salaam, dove viene smistata e venduta al chilo.
Continua Mucth: "gli affari sono cambiati drammaticamente negli ultimi anni. All'inizio i vestiti erano tanti, di ottima qualità e a poco prezzo. Gli imballi erano suddivisi per genere e dividerli era molto veloce. Oggigiorno gli imballi sono un misto di vestiti di varia tipologia e qualità e suddividerli ti porta via il doppio del tempo. La recessione globale ha finito per influire anche questo tipo di mercato." Azmani, un venditore di Matumba, lamenta: "Vediamo che c'è meno disponibilità di merce e più domanda. Si potrebbe pensare che questo porti ad un aumento dei prezzi, ma noi cerchiamo di incontrare le esigenze dei più poveri, che sono la maggior parte della popolazione. Non possiamo alzare i prezzi perchè non comprerebbero." Nessun problema, invece, nell'indossare vestiti smessi da altri. Le clienti sono di ogni tipo: dalle donne anziane del villaggio alle giovani manager in carriera. Anch'io la settimana scorsa ho comprato un paio di pantaloncini al mercato di Otati: arrivano dagli Stati Uniti e sono di una marca economica, il cartellino li metteva in vendita per 10 dollari. Io li ho pagati 180 ksh, meno di 2 euro. A Boniface, uno dei nostri autisti, è andata anche meglio: per lo stesso prezzo ha acquistato dei pantaloncini praticamente identici, ma della Calvin Klein.

In this picha: Sori Market
Second hand clothes corner

In Africa, a vendere sono soprattutto le donne, forse perchè abituate a gestire le quasi sempre ristrette finanze di famiglia, e perchè da queste parti la vita le porta ad assumersi grosse responsabilità fin da bambine.
Mama Beatrice è una di loro.
Come Julita ed Elizabeth, ho incontrato Beatrice attraverso il programma Hope&Life. Mama Beatrice vive a Rabuor, a pochi minuti a piedi dal St. Camillus M. Hospital, ha 35 anni e due figli, una ragazzina di 13 anni e un ragazzino di 11, nati dal suo matrimonio con Joseph, sposato nel 1992.
Beatrice mi ha raccontato con un sorriso lontano la serenità dei primi anni della sua famiglia. Con il marito vendeva bibite in un chiosco a Sori e tutto procedeva per il meglio, fino al 2005, quando Joseph ha deciso di prendere una seconda moglie, con già un figlio a carico. Ne sarebbero nati altri due.
Il marito ha cominciato ad allontanare Beatrice dal lavoro, per sostituirla con la nuova donna, e così facendo l'ha messa da parte dalla sua vita. Con il tempo è passato a non portarle più il cibo da cucinare: Mama Beatrice era costretta a chiedere alla nuova arrivata di portarle qualcosa per sè e i suoi figli. Joseph è poi diventato intrattabile e violento ed è arrivato a picchiare sia lei sia i bambini.
Due anni dopo le seconde nozze, Mama Beatrice si trovava in ospedale per un controllo e ha visto la sua co-wife recarsi alla clinica per gli antiretrovirali, segno sicuro di sieropositività.
Beatrice si è allarmata e ha pensato bene di parlarne subito con il marito, che però ha negato con veemenza la possibilità che la sua preferita fosse positiva all'HIV/AIDS. Beatrice ha deciso perciò di affrontare la faccenda da sola e si è rivolta al centro VCT del St. Camillus. Il test è risultato positivo. Quando lo ha riferito marito, per fargli sapere il suo stato e per rendere chiaro che non stava mentendo a proposito della seconda moglie, Mama Beatrice non ha ottenuto la reazione sperata. Joseph è diventato soltanto più violento, e l'ha esclusa definitivamente dalla sua vita. Ha minacciato di cacciarla di casa, l'ha offesa pesantemente e ha costretto la seconda moglie a fare lo stesso.

In this picha: Mama Beatrice

Dopo altri due anni di sofferenze, Beatrice decide di tornare dai genitori per farsi aiutare. Ma il padre ha una seconda moglie e nelle difficoltà della madre Beatrice rivive le proprie. I ragazzini erano rimasti a casa, in attesa di raggiungere i nonni. Ma poco tempo dopo, i vicini hanno chiamato Mama Beatrice per farle sapere che i suoi figli non andavano più a scuola ed erano diventati servi della seconda moglie del marito. E' stata la cosidetta goccia che fa traboccare il vaso. Mama Beatrice è tornata immediatamente a Rabuor e si è rivolta ad Hope&Life. Insieme a Teresa, la responsabile del gruppo, si sono recate dal capo locale e hanno denunciato Joseph, che ora non può negarle un posto dove stare e deve provvedere almeno ai propri figli, riammessi a scuola grazie all'intervento della famiglia di lei, che l'aiuta con le tasse scolastiche. L'atmosfera a casa è tesa, l'ho sperimentata io stessa. Quando sono andata a trovarla, lei e i figli sono stati molto accoglienti. Ma quando è arrivato Joseph, è sceso un silenzio imbarazzato così spesso che si poteva quasi toccarlo.
Mama Beatrice ha bisogno di un lavoro. Le abbiamo chiesto cosa sa fare. Ci ha spiegato che sa vendere, e le piace stare in mezzo alla gente, ma non può certo aprire un altro chiosco di bibite e mettersi in competizione con il marito. Così abbiamo pensato ai vestiti usati. Abbiamo dato a Mama Beatrice i soldi per comprare i primi imballi e ora vende abiti di fronte all'ospedale durante la settimana e al mercato di Sori la domenica. Con il ricavato delle prime vendite ha già acquistato nuovi vestiti, e così via. Questo lavoro ha il doppio vantaggio di darle un'opportunità di diventare economicamente indipendente e di tenerla lontana per molte ore al giorno dalla casa che condivide con il marito. Al mercato ha stretto amicizia con le altre venditrici e con i suoi modi si sta creando un bel giro d'affari, seppure ancora molto piccolo. Ma soprattutto, si sta creando una nuova vita. Pole pole, maglietta dopo maglietta.

In this picha: Mama Beatrice and her stall

special thanks for the first two picha: Claudia

giovedì 26 agosto 2010

The Maasai Ceremony

In this picha: a young Maasai during the ceremony

19 - 22 agosto 2010, Transmara, Kenya.
L'eunoto è un importante rito di iniziazione per il popolo Masai. Questa tribù, così famosa nei cataloghi turistici del Kenya anche se è una minoranza tra le etnie del Paese, era in festa la settimana scorsa.
Divisi per classi di età, i Masai celebrano l'eunoto ogni 5 - 10 anni. L'ultimo si è svolto 5 anni fa, il prossimo è previsto per il 2015. Noi siamo stati invitati da Jonathan, che lavora come guardiano alla missione ed è parente di uno dei giovani iniziati. Abbiamo partecipato solo alla prima giornata, ma anche così è stato possibile fare un viaggio affascinante tra l'ancestrale e la modernità.
Il ciclo di iniziazione comincia con un rito chiamato emorata, ovvero circoncisione. Dopodichè i ragazzi saranno considerati Moran, cioè giovani guerrieri. In passato i Moran dopo il rito trascorrevano 6 mesi in una speciale casa, la manyatta, divisi dalla comunità, per imparare quanto serve a lasciare l'adolescenza ed entrare nell'età adulta. Il gruppo che è stato circonciso in precendenza, passa invece di grado attraverso l'eunoto.
Per l'occasione, vengono costruite tante manyatta una di fianco all'altra, a formare un cerchio, all'interno del quale c'è uno spiazzo molto grande e, di lato, un'altra abitazione, destinata ai giovani che verranno scelti per ricoprire qualche carica all'interno della comunità. Solo chi è considerato perfetto fisicamente e moralmente potrà entrare in questa casa.
L'eunoto comincia con l'arrivo dei giovani Moran alla manyatta. Gli anziani li precedono e li accompagnano, e portano con sè del bestiame in dono.
Le donne stanno ai lati e partecipano al loro passaggio con canti a cappella e con una leggera danza che si esegue stando in piedi e muovendo leggermente il collo e la testa avanti e indietro, per darsi il ritmo.


In this video: young Maasai going to the manyatta

I Masai vestivano di pelli di animali e si decoravano con colori vegetali. Durante la colonizzazione, tuttavia, hanno optato per il tessuto che gli inglesi usavano per il kilt. Oggiogiorno la shukra, la coperta di cotone a quadri rossa o nera, è un simbolo del vestire Masai. Molti la portano sopra a dei teli di cotone rosa o rossi incrociati, legati con una cintura di cuoio alla quale aggiungono il panga, l'inseparabile coltello. I sandali sono di cuoio o ricavati dai copertoni delle automobili.
La modernità, però, fa capolino anche tra un popolo così legato alla tradizione. E così sotto i teli spuntano i pantaloncini, ai piedi alcuni Moran portano calzini e scarpe da ginnastica, per decorarsi usano le celeberrime perline colorate ma anche orologi di poco prezzo e cerniere usate come collane. Le ragazzine indossano occhiali da sole, lo donne hanno borse taroccate, i cugini di città portano occhiali e apparecchi per i denti.
E se la manyatta è fatta in modo tradizionale, usando terra, fango e legno per le pareti e cacca di mucca per il soffitto, appena fuori ci sono dei baracchini dove comprare bibite firmate Coca Cola Company e Tusker, la birra nazionale.
Eppure, il fascino dei Masai resiste all'attacco. Quando i Moran danzano facendo grandi salti a turno, mentre gli altri si dispongono in cerchio e accompagnano i balzi con canti dedicati a se stessi o a dio, il tempo si ferma.

In these picha: Moran during a Maasai dance

Nelle manyatta vivono le madri o le nonne dei Moran. Spetta a loro vestirli con i kangha, i teli colorati indossati come variopinti mantelli, e una specie di maschera fatta con piume di struzzo. Così conciati, i Moran girano intorno alla manyatta diverse volte di fronte alla comunità.



In this video: Moran dancing around the manyatta

Le donne Masai sono un tripudio di colori. Le ragazzine indossano decine di braccialetti e collanine. Tradizionalmente, i disegni e gli abbinamenti dei colori indicano il clan di appartenenza e lo status sociale di chi li indossa.
Le donne possono decorarsi il viso con una speciale tintura, la stessa con la quale i Moran si dipingono la testa. E' fatta con il grasso della mucca, che viene bollito in acqua e mescolato con una particolare tintura rossiccia. Le donne più giovani si colorano tutta la faccia, quelle più anziane i lati. Una signora quando mi ha vista così pallida mi si è avvicinata e senza preamboli ha strofinato le sue guance contro le mie, dandomi un pò di colore.. E di odore. Non credo che il grasso di mucca bollito sia in vendita nelle profumerie. Insomma, c'è chi può e chi non può.
Un'altra donna ci ha preso per mano e ha intonato un canto in segno di benvenuto. Indossava delle collane di perline e metallo che, mi ha spiegato Olonana, un altro dei nostri guardiani, vengono usate solo in occasioni speciali come l'eunoto.

In these picha: a Maasai girl...

... a Maasai woman

... and a Maasai elder, wearing special beads for the ceremony

Le collane e i braccialetti Masai si possono trovare in qualsiasi mercato del Kenya. A quanto pare sono spesso fatti in serie e talvolta neanche da Masai ma da compagnie estere che gestiscono un business sicuramente proficuo, visto il continuo afflusso di turisti nel Paese. Ma quelli che i Masai fanno per se stessi, sono indiscutibilmente più belli.

In this picha: Maasai design

Dopo oltre 4 ore di danze, la cerimonia è giunta al termine. E' ora di partire, sperando che le strade keniote non creino problemi. Ma andiamo sereni.
Olesunkuli è un loibon molto conosciuto tra i Masai. Quando ci ha visti si è avvicinato e con un sorriso da nonno ha tirato fuori una polvere bianca e ci ha benedetti. Olonana mi ha spiegato che la polvere è ricavata da una pietra speciale mescolata ad altri ingredienti, ma solo il loibon sa quali. Il loibon è un anziano che si ritiene abbia poteri magici, e ricevere la sua benedizione è un onore e una potente protezione per vivere hakuna matata, senza problemi.

In this picha: after the ceremony.. Safari njema!

lunedì 16 agosto 2010

Peer educators

Approfittando delle vacanze di agosto, la settimana scorsa il gruppo Awake ha organizzato un training di 4 giorni per peer educator a Luanda, una ventina di minuti da Karungu. I peer educator sono ragazzini che frequentano la scuola primaria e ci aiutano a fare prevenzione dell'HIV/AIDS tra i loro compagni di classe. Nel 2010 Awake ha contattato nuove scuole nella zona di Gwassi, confinante con Karungu e particolarmente sprovvista di servizi di questo tipo. Il training ha coinvolto 30 peer educator provenienti da alcuni nuovi istituti. L'obiettivo era formare i ragazzini che si danno da fare come volontari per promuovere la salute tra i propri coetanei, farli conoscere tra di loro, motivarli a fare sempre di più e meglio, rendendoli consapevoli del ruolo chiave che giocano all'interno del programma Awake.

In this picha: peer educators

Dopo le presentazioni ufficiali e alcuni giochi di ruolo per scrollarsi di dosso la timidezza, Daniel, il coordinatore di Awake, ha introdotto gli argomenti principali del training. Una parte consistente è stata dedicata ai valori, partendo dall'idea che una persona con solidi valori ha rispetto per se stessa e per la propria vita, e prima di agire in modo sciocco e prendersi l'AIDS, magari ci pensa su due volte. O anche tre.

In this picha: why are the values so important?

Perchè i valori sono importanti?
Perchè, dice uno dei cartelloni realizzati durante il training, portano rispetto e dignità, ci rendono indipendenti e liberi, ci offrono protezione, ci aprono il cuore [e la testa]. Ma la motivazione che mi ha colpito di più è la prima.
Perchè portano felicità nelle nostre vite.
Nella top ten dei valori, la classifica riportava:

1. amore
2. onestà
3. giustizia
4. rispetto
5. umiltà
6. perseveranza
7. castità
8. fedeltà

Mi sono piaciute alcune definizioni:

Love = devozione verso qualcosa e profondo interesse/coinvolgimento per il benessere degli altri. Amore che può essere figliale, passionale, fraterno, divino.

Perseverance = determinazione nel perseguire i propri obiettivi. Non mollare davanti alle difficoltà che si possono incontrare.

Chastity = purezza spirituale, morale e fisica. Che è diverso dal dire ai ragazzini: non fate sesso, suggerimento che non funzionerebbe, a mio parere. L'idea è di far capire loro l'importanza di amare e amarsi con rispetto. Perchè c'è in gioco la propria vita, e non è un modo di dire o una frase fatta. Perchè a Karungu di AIDS la gente muore. Tanta. Troppa. Tutti i giorni.

I peer educator, nelle loro divise di colori diversi, erano molto partecipi, rispondevano e facevano domande, prendevano appunti, e si sono prestati anche a mini balletti per rendere le lezioni più movimentate e scherzose.

In this picha: any question?


In this video: H - I - V

In this picha: taking notes

Durante il training si è parlato anche della capacità di pensare con la propria testa, di non lasciarsi influenzare dall'esterno, di fare le proprie scelte in modo consapevole, di dedicarsi agli altri ma anche a se stessi. Tutte cose forse già sentite ma non sempre ascoltate. E che a volte è bene ripetere e ripetersi, non solo quando si ha 13 anni.