sabato 26 dicembre 2009

Happiness

E crescendo impari che la felicità non è quella delle grandi cose.
Non è quella che si insegue a vent'anni, quando, come gladiatori si combatte il mondo per uscirne vittoriosi, la felicità non è quella che affanosamente si insegue credendo che l'amore sia tutto o niente, non è quella delle emozioni forti che fanno il "botto" e che esplodono fuori con tuoni spettacolari, la felicità non è quella di grattacieli da scalare, di sfide da vincere mettendosi continuamente alla prova.
Crescendo impari che la felicità è fatta di cose piccole ma preziose.
E impari che il profumo del caffè al mattino è un piccolo rituale di felicità, che bastano le note di una canzone, le sensazioni di un libro dai colori che scaldano il cuore, che bastano gli aromi di una cucina, la poesia dei pittori della felicità, che basta il muso del tuo gatto o del tuo cane per sentire una felicità lieve.
E impari che la felicità è fatta di emozioni in punta di piedi, di piccole esplosioni che in sordina allargano il cuore, che le stelle ti possono commuovere e il sole far brillare gli occhi, e impari che un campo di girasoli sa illuminarti il volto, che il profumo della primavera ti sveglia dall'inverno, e che sederti a leggere all'ombra di un albero rilassa e libera i pensieri.
E impari che l'amore è fatto di sensazioni delicate, di piccole scintille allo stomaco, di presenze vicine anche se lontane, e impari che il tempo si dilata e che quei 5 minuti sono preziosi e lunghi più di tante ore, e impari che basta chiudere gli occhi, accendere i sensi, sfornellare in cucina, leggere una poesia, scrivere su un libro o guardare una foto per annullare il tempo e le distanze ed essere con chi ami.
E impari che sentire una voce al telefono, ricevere un messaggio inaspettato, sono piccoli attimi felici. E impari ad avere, nel cassetto e nel cuore, sogni piccoli ma preziosi.
E impari che tenere in braccio un bimbo è una deliziosa felicità. E impari che i regali più grandi sono quelli che parlano delle persone che ami. E impari che c'è felicità anche in quella urgenza di scrivere su un foglio i tuoi pensieri, che c'è qualcosa di amaramente felice anche nella malinconia.
E impari che nonostante le tue difese, nonostante il tuo volere o il tuo destino, in ogni gabbiano che vola c'è nel cuore un piccolo-grande Jonathan Livingston.
E impari quanto sia bella e grandiosa la semplicità.

[Anonimo]

giovedì 24 dicembre 2009

Auguri. A tutti.

Beh, buon Natale. E che sia davvero un pò Santo e porti un pizzico di serenità. A tutti.
Buon Natale al lago, al cielo e alle stelle. Buon Natale a questi giorni freddi riscaldati dai sorrisi di amici vecchi e nuovi, lontani e vicini, dai miei nipotini e da mamma e papà. Buon Natale alla mia famiglia africana, ai religiosi e ai laici, agli italiani, agli americani, ai keniani e agli indiani. Buon Natale alla mia famiglia italiana, a quella di San Zeno e a quella fatta da tutti coloro che mi vogliono bene, dal Piemonte alla Calabria. Buon Natale a chi per quattro anni è stata la mia seconda famiglia. Buon Natale a chi mi ha incontrata ma non ci ha fatto caso, a chi non sono piaciuta e a chi di me non si vuole ricordare. Buon Natale a chi mi abbraccia con affetto e anche a chi mi sorride con la plasticità di una Barbie o Big Gim.
Buon Natale ai bambini di Karungu, di Sori, di Otati, di Not, di Muhuru, di Mfangano, di Aluru, di Orore, di Kisumu, di Nakuru, di Nairobi, di Kibera, di Aringo e di tutto il Kenya. Buon Natale ai bambini di questo Paese, a quelli italiani e a quelli arrivati da chissà dove e chissà come. Buon Natale ai piccoli che lo trascorreranno con almeno una mamma o un papà, a chi vedrà così tanti parenti da perdere il conto e confondere i nomi, le facce e le voci. Buon Natale a chi mangerà sukuma e ugali, a chi rifiuterà la terza fetta di panettone, a chi berrà lo jabanà e a chi invece si siederà semplicemente per strada.
Buon Natale a chi mi ha fatto diventare bionica, a chi mi ha insegnato che non solo si vede ma anche si sente bene solo con il cuore. L'essenziale non è solo invisibile agli occhi, ma anche silenzioso, e va oltre le parole.
Buon Natale a chi con me ha riso, ha pianto, ha amato, si è commosso e arrabbiato. Buon Natale a chi la vita ha fatto crescere troppo in fretta e a chi, nonostante l'età, dalla vita scappa e resta bambino. Buon Natale all'amore che ho ricevuto, a quello che ho dato, a quello che mi è stato offerto e ho rifiutato, a quello che avrei voluto dare ma non è stato accettato.
Buon Natale alle persone che ammiro e di cui sono orgogliosa e a chi, a torto o a ragione, è orgoglioso di me; a chi ha condiviso un pezzo del suo cammino e a chi cammina su una strada parallela alla mia che non ci fa incontrare; a chi mi riserva sempre nuove meraviglie, a chi mi ha insegnato e continua a insegnarmi moltissimo, a chi per me è un modello e a chi mi ha fatto capire come non voglio diventare.
Buon Natale alle mani, agli occhi, ai sorrisi, alle lacrime, alle voci e ai sospiri. Buon Natale alla corsa, ai tamburi, ai grilli e agli uccelli. Buon Natale su questa Terra e a chi mi guarda dal Cielo. Buon Natale a chi ogni giorno dedico un pensiero. Buon Natale alla forza, al coraggio e alla passione. Buon Natale a chi vive la vita come una continua lezione. Buon Natale a chi ci crede e a chi non crede più, Buon Natale a tutti, ma soprattutto a Gesù.

mercoledì 23 dicembre 2009

NonSolo[A]Natale/NotOnly[For]Christmas

[...] Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente. [...]
La carità non abbia finzioni: fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda.
Non siate pigri nello zelo; siate invece ferventi nello spirito. [...] Siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera, solleciti per le necessità dei fratelli, premurosi nell'ospitalità.
Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite. Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto. Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non aspirate a cose troppo alte, piegatevi invece a quelle umili. Non fatevi un'idea troppo alta di voi stessi.
Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini. Se possibile, per quanto questo dipende da voi, vivete in pace con tutti.

Dalla lettera di San Paolo apostolo ai Romani (Rm 12,1-2.9-18)


[...] Do not model yourselves on the behaviour of the world around you, but let your behaviour change, modelled by your new mind. [...]
Do not let your love be a pretence, but sincerly prefer good to evil. Love each other as much as brothers should, and have a profound respect for each other.
Work [...] with untiring effort and with great earnestness of spirit. If you have hope, this will make you cheerful.
Do not give up if trials come; and keep on praying. If any of your brothers [saints] are in need you must share with them; and you should make hospitality your special care.
Bless those who persecute you: never curse them, bless them. Rejoice with those who rejoice and be sad with those in sorrow. Treat everyone with equal kindness; never be condescending but make real friends with the poor. Do not allow yourself to become self-satisfied. Never repay evil with evil but let everyone see that you are interested only in the highest ideals. Do all you can to live at peace with everyone.

From the letter of Saint Paul to the Romans (Rm 12,1-2.9-18)

sabato 19 dicembre 2009

In Italy

E da qui il mio passo verso l'unica rivoluzione che serve, quella dentro di te. Le altre le vedi. Le altre si ripetono, si ripetono in maniera costante, perchè al fondo c'è la natura dell'uomo. E se l'uomo non cambia, se l'uomo non fa questo salto di qualità, se l'uomo non rinuncia alla violenza, al dominio della materia, al profitto, all'interesse, tutto si ripete, si ripete, si ripete.

[La fine è il mio inizio, Tiziano Terzani]

Sono in Italia da quasi una settimana, e in questo sabato sera sotto zero e sotto la neve, i pensieri si accavallano e chiedono di essere scritti, perchè cominciano a stare stretti se rimangono tutti in testa.
Giovedì guardavo i fiocchi cadere dal finestrino del treno. Guardavo i campi, le case, le strade, le automobili, gli alberi. Guardavo il bianco. E pensavo. Pensavo a questo bianco così diverso dal verde di Karungu, dal blu del lago Vittoria, dall'azzurro del suo cielo. Guardavo il bianco e pensavo che il bianco è il colore dei ricordi. Mi sono rivista bambina, quando giocavo in montagna con papà e Morghi, quando correvo per il giardino vestita da orsetto perchè c'era la neve a carnevale, quando la mamma mi metteva il maglione di lana spessa ed Eros teneva con sè una foto della sua sorellina. Quando il massimo delle mie preoccupazioni era essere preparata per la recita di Natale a scuola. Quando, parafrasando Oscar Wilde, ero ancora "giovane abbastanza per sapere tutto".
Con una tazza fumante di tè buono come solo la mia mamma sa fare, sento la nostalgia per l'Africa che mi avvolge, calda con un abbraccio che aspettavi da un pò. Sento sempre la mancanza della mia casa africana quando sono in Italia, come sento la mancanza della mia casa italiana quando sono a Karungu. Questa volta, tuttavia, guardo l'Italia con occhi diversi. Possono due giorni cambiare una vita? Non lo so. Ma questi ultimi mesi, e l'ultimo weekend prima di partire, a Nakuru, sono stati "rivoluzionari". E mi sembra che niente sia più lo stesso.
Vedo questa Italia che corre, corre, e chissà dove dovrà mai andare. In Kenya a volte il "pole pole" [piano piano] è esasperante, ma anche questa frenesia italiana non è da meno.
Leggo e scrivo decine di messaggini per concordare gli appuntamenti, perchè sono una ragazza fortunata e ho tanti amici, ma sono tutti fitti di impegni, e il mio arrivo è una piacevole sorpresa ma pur sempre un imprevisto in una vita che non ti lascia un attimo di tregua.
Sorrido alle luci di Natale e sono contenta che sia un white christmas come da tradizione. Sorrido alla neve, al cappotto con sopra il poncho di lana, e perfino al freddo polare [forse perchè mi fermo solo 20 giorni!] Ma sento persone stressate dalla scelta dei regali, dal vestito da mettere, dal ristorante da prenotare. Il mio dono sarà trascorrere le feste con la mia famiglia, e non ho bisogno di altro.
Scopro che aveva ragione chi mi ha detto: "Do not plan everything. Just enjoy the trip".
Credo che, quando realizzi che il bimbo di otto anni che sta giocando con te passerà la notte su una strada con il fratellino di dieci perchè la mamma non li vuole più, tutto il resto ti appare facile. Smetti all'istante di lamentarti. E senti forte il dovere di essere felice.
Osservo gli occhi pieni di amore dei genitori, dei nonni, dei fratelli e degli zii alle recite di Natale delle mie nipotine. E sento un nodo alla gola, pensando ai bimbi di Karungu, e non solo. Mi viene voglia di correre indietro e abbracciarli forte, che forse non l'ho fatto abbastanza.

It's me

I am Angela. I live in Kenya, where I work as a project coordinator in a Catholic Mission in Karungu. I am proud to be an AB cochlear implant user. My doctor told me: "This choice will change your life". Now I can hear better, I can hear sounds that I have never heard before, and it is fantastic. But the best side of this experience is another one. Now I am free. I am free to be myself. And it is simply so beautiful.

Sono Angela. Vivo in Kenya, dove lavoro come coordinatrice di progetto in una Missione Cattolica a Karungu. Sono orgogliosa di portare un impianto cocleare AB. Il mio medico mi ha detto: "Questa scelta cambierà la tua vita". Ora posso sentire meglio, posso sentire suoni che non avevo mai sentito prima, ed è fantastico. Ma il lato migliore di questa esperienza è un altro. Ora sono libera. Libera di essere me stessa. Ed è semplicemente bellissimo.

lunedì 14 dicembre 2009

Dovremmo stringerci le mani

E' quasi Natale [...]
che freddo che fa
Io parto [...]
per passarlo
con mamma e papà [...]

Non so perchè
questo lusso di cartone
se razzismo, guerra e fame
ancora uccidono le persone

Lo sai cos'è
dovremmo stringerci le mani
...o é Natale tutti i giorni
o non è Natale mai...


[O è Natale tutti i giorni... Luca Carboni]

giovedì 3 dicembre 2009

Sor Aqua

[...] Laudato si', mi' Signore, per sor Aqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.

Laudato si', mi' Signore, per frate Focu,
per lo quale ennallumini la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.

Laudato si', mi' Signore, per sora nostra matre Terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti flori et herba. [...]

[Cantico delle Creature - S. Francesco d'Assisi]

Domenica sera non c'era acqua a casa. Niente di che: un tubo rotto nel primo appartamento per i volontari, riparato dagli idraulici della missione lunedì mattina. La situazione si è rivelata anche divertente: fare i turni per la doccia in una stanza libera nella casa dei padri, gente che girava con asciugamano, spazzolino e dentifricio come in campeggio. Sono bastate quelle poche ore, tuttavia, per farmi notare come gesti per me scontati, in realtà non lo siano. Non sempre.
Aprire il rubinetto per lavarmi i denti e la faccia, tirare lo sciacquone del water, aprire il rubinetto della doccia, o quello del lavello in cucina per preparmi il caffè.
Ogni volta a pensare: "E' vero, non c'è acqua." Non c'è acqua.

In this picha: a young girl catching water

Sono tante le donne e, in questo mese di "vacanza", i bambini che incontro al mattino con i loro secchi di plastica, di solito gialli, con cui vanno al lago a raccogliere l'acqua. Sono contenitori di olio da cucina riutilizzati all'infinito. Mi passano accanto con i loro pesi sulla testa, in perfetto equilibrio, la schiena dritta, senza mostrare fatica. I ragazzini si fermano a salutare. Le donne talvolta fanno una sosta per chiacchierare, senza appoggiare i secchi per terra.
Al mattino vedo anche alcune persone che fuori dalle loro case si lavano i denti con un pò d'acqua in una tazza di plastica. Non posso fare a meno di chiedermi se è acqua del lago o se è stata depurata. Ma non ci sono molte possibilità di depurare l'acqua, a Karungu.
La missione, subito dopo il cancello principale, ha due rubinetti per l'acqua. La gente fa sempre la fila, soprattuto al mattino e alla sera. Con 40/- [meno di 40 centesimi di euro] al mese si possono prendere 20litri di acqua del lago e 20litri di acqua depurata. Al giorno. I pazienti, invece, quando sono ricoverati possono sperimentare il piacere di avere acqua corrente a portata di mano. Nel prato all'esterno del children ward ci sono sempre alcune donne che lavano i vestiti dei bambini [e anche i propri] o fanno il bagno ai loro figli. I bambini in AIDS delle casette del Dala Kiye hanno docce e rubinetti, e il centro ha anche delle docce per tutti i ragazzini che frequentano la scuola e la missione camilliana.

In this picha: "bagnetto"!

Fuori, però, la maggior fonte di acqua è il lago Vittoria, questo lago immenso, affascinante, fonte di vita. Ma non certo perla di purezza. Eppure, la gente si accalca sulle sue rive, soprattutto durante il weekend. L'acqua del lago serve per lavare se stessi, i propri abiti, gli strumenti da cucina. Nel lago si lavano le bici, le moto, le macchine, i matatu, qualche volta anche gli autobus. Al lago si porta il bestiame per farlo abbeverare. Chi è fortunato, porta anche l'asino, su cui caricare i contenitori con l'acqua. Chi è molto fortunato, all'asino ci attacca un carretto e di contenitori ne porta una ventina alla volta, che poi rivende al mercato. Naturalmente, più lontano è il mercato dalla riva, più ci guadagna.

In this picha: people washing.. everything

Uno di questi mercati è a Otati, una ventina di km da Karungu, un villaggio inerpicato sulle colline. Qui vive, tra gli altri, mama Jackline. Lei e la sorella vendono omena al mercato, il martedì. Vivono insieme, hanno in tutto una decina di figli e nessun marito. Otati si trova sul confine tra Karungu e Gwassi, e così entrambe le località snobbano un pò questo posto. Mama Jackline l'abbiamo conosciuta in occasione di una mobile clinic, aveva portato alla visita di controllo il figlio più piccolo, ma chi aveva bisogno di un medico era il fratellino, Tony. Bello e tristissimo, sui 3 anni, aveva un braccino con un'ustione tremenda. Ripresoci dallo stupore che questa donna non avesse pensato di portare il piccolo in ospedale, ce lo abbiamo portato noi. Qualche tempo dopo il nostro primo incontro, sono tornata ad Otati e mama Jackline mi ha accompagnata a casa per farmi vedere che Tony stava meglio. La loro casa non è molto diversa da quelle della maggior parte della gente della zona. In un angolo, c'erano tre grossi barili d'acqua, che dovevano servire per tutta la famiglia. "Da dove prendi l'acqua?" le abbiamo chiesto. "Dal lago." E pazienza se è a 20km. Se per raggiungere Otati la strada è tutta in salita. Se nella stagione delle piogge c'è un fango tale che a fare 100mt ci metti anche 10 minuti. E allora comincia ad apparire meno sorprendente che mama Jackline non abbia portato il suo Tony in ospedale. Perchè se ti svegli al mattino e il problema principale è come andare a raccogliere l'acqua per te e per i propri figli, un braccino ustionato passa in secondo piano.
Perchè l'acqua dovrebbe essere "uguale per tutti". Ma come molti altri diritti, non lo è. E se chi di dovere [e di potere] non lo capisce, non ci resta che tenerci stretto il nostro contenitore giallo.

In this picha: yellow containers and young girls
Special thanks for all these picha: [la me zia] Renata

martedì 1 dicembre 2009

Year Number 3

Oggi comincia il terzo anno di progetto. L'ultimo. L'anno in cui si dovrebbero vedere i risultati del nostro lavoro. Chissà. Di sicuro ho già imparato moltissimo, pur sapendo benissimo di essere ancora un'assoluta principiante.
Ho imparato che l'Africa è una maestra di vita continua. Di quelle che ogni volta che pensi: ok, ho capito, ti sorprende e ti mette davanti al fatto compiuto, costringendoti ad ammettere che non avevi capito proprio niente.
Ho imparato che più una persona ha l'anima grande, più appare semplice, di una semplicità a volte disarmante. Di una semplicità che riempie, che fa bello tutto ciò che tocca.
Ho imparato che la curiosità è vita. Fare finta di sapere per non sentirsi ignoranti non serve a niente. E ci lascia nell'ignoranza.
Ho imparato che non c'è fine al peggio. Che se già nasci cieca nel bush, puoi sempre dare alla luce due figli, un maschio e una femmina. Il bambino ha circa 10 anni, due occhi furbi e profondi, di quelli che ne hanno già viste che metà bastava lo stesso. Ma la ragazzina, di circa 15 anni, ha un forte handicapp mentale. Eppure è lei che incontri la sera con un fascio di rami sulla testa per il fuoco, o al mattino con la divisa della scuola primaria, anche se per età dovrebbe frequentare la secondaria. E' lei che incontro al mattino, ora che la scuola è chiusa, mentre porta un secchio giallo con l'acqua e accompagna la mamma sotto un grande albero vicino alla parrocchia di Kiranda, dove la donna passa la giornata a vendere i pochi prodotti del loro pezzetto di terra, che ora che la scuola è chiusa, probabilmente lavora il fratellino.
Ho imparato che ognuno cerca di cavarsela facendo del suo meglio. E una mamma sieropositiva può trovare sia un'ottima idea venire da me a chiedermi di darle dei soldi per pagare qualcuno che doni all'ospedale il sangue usato per salvare il suo bambino. Quando un paziente riceve del sangue, infatti, di norma viene chiesto se uno dei parenti può donarlo, perchè in una zona rurale come questa, e in una zona così affetta dall'AIDS come questa, trovare del sangue utile è piuttosto complicato. Quando ho spiegato alla mamma che non doveva preoccuparsi, e che non l'avremmo certo trattenuta se non poteva ridonare il sangue, era talmente sollevata.. Ma rimaneva comunque difficile credere avesse potuto davvero pensare di non poter tornare a casa dai suoi figli se non avesse trovato del sangue. Eppure so benissimo che era esattamente questo il suo pensiero.
Ho imparato che non riesco a non arrabbiarmi quando, ora che il nuovo reparto dell'ospedale sta per essere completato, cominciano ad arrivare nel mio ufficio giovani donne che chiedono di essere assunte come cleaner. Mi arrabbio non per la loro voglia di fare, ovviamente. Mi dispiace perchè non posso aiutarle, in quanto non sono io che sceglierò il personale da assumere. Ma mi arrabbio quando chiedo loro di lasciarmi un contatto e vedo che ci mettono due minuti buoni a compitare il proprio nome. Mi arrabbio al pensiero che ci siano ragazze che alla mia età hanno già 3-4 figli, ma nessuna istruzione.
Mi arrabbio anche quando c'è chi, al contrario di queste donne, non cerca una soluzione alle proprie difficoltà, ma si limita a chiedere soldi all'ultimo momento. Mi arrabbio perchè vorrei che quest'Africa riuscisse a capire che se non si aiuta [anche] da sola, non può farcela. E deve farcela.
Ho imparato che anche se la gente a volte fa fatica ad esprimere i propri sentimenti, non per questo mancano le persone con un cuore grande. Ho imparato che a volte certi gesti valgono più di tante parole. Ho imparato che a volte basta un invito a bere una soda al "bar" o a prepare insieme l'insalata per dimostrarti affetto.
Ho imparato che essere diversi è difficile ovunque tu sia. Che Florence è sorda e se ne vergogna anche quando parla con me. Ma ora porta la protesi e sorride sempre quando ci incontriamo. Che Fidel a quattro ancora non parla ma ha una voglia e una capacità di comunicare che ti lasciano senza parole.
Ho imparato che un sorriso e un abbraccio possono cambiare in meglio la tua giornata.
Ho imparato che la vita è fatta anche di scelte. E che certe scelte ti cambiano la vita.
Ho imparato che andare a Muhuru mi restituisce ogni volta un tocco di magia.
Ho imparato che, in fondo, ognuno di noi vuole solo essere amato ed apprezzato per quello che è.
Ho imparato che ho ancora tanto da imparare.
Ho imparato che questo posto è molto di più. E che ogni giorno è un piccolo miracolo, se lo si sa guardare e ascoltare.

In this picha: Angi&Fidel
Special thanks for this picha: Nadia :)

World Aids Day 2009

Oggi è la Giornata Mondiale della lotta contro l'AIDS. Per il secondo anno, ho vissuto questo evento a Karungu, dove il 35% della popolazione, secondo i dati più recenti, è sieropositivo. Prendendo atto di questo, e del fatto che non è che ci siano chissà quali eventi nel bush, è facile capire perchè la manifestazione sia uno dei momenti sociali più importanti dell'anno.
La giornata da noi è stato un weekend, dedicato a promuovere lo slogan 2009: Stop AIDS. Keep the Promise. Universal Access and Human Rights.
La due giorni è cominciata sabato mattina. L'appuntamento era alle 8.oo, ma davanti all'ospedale eravamo solo in tre. Il programma prevedeva la distribuzione di alcune magliette tra lo staff, per poi recarci nei due punti di ritrovo della marcia: Sori a destra e Oodi Beach a sinistra della missione. La partenza era prevista dalle due località alle 9.00 e noi, in perfetto african time, abbiamo lasciato il St. Camillus alle 9.20 in punto.
Stipati in 16 nel pick-up [6 davanti e 10 dietro, io e Kayla naturalmente dietro, con tanto di striscione arrotolato e tanica di benzina di scorta] abbiamo percorso i 3,5 km che separano l'ospedale dall'ufficio postale di Sori. Qui ci aspettavano i ragazzini del Dala Kiye, personale vario della missione, e un pò di gente del paese accorsa per partecipare. Distribuite le t-shirt e i red ribbon, ascoltato il breve [per fortuna] discorso del chief locale, siamo partiti alle 10.30 sotto un sole cocente e gli sguardi incuriositi di Sori. Il pick-up ci seguiva tappezzato di slogan, mentre un autoparlante diffondeva la voce di Andrew che richiamava l'attenzione sull'evento.

In this picha: the procession
Special thanks for this picha: Richard


Circa duecento persone tra grandi e piccini, tutti a piedi [tranne qualche furbo in bici o in moto].
E' stato bello camminare insieme, condividere il caldo, le chiacchiere, la fatica, le risate. Solo la scottatura è stata cosa da wazungu, concentrandosi sulle facce bianche di me e Kayla!
Arrivati alla meta, abbiamo incontrato il gruppo proveniente da Oodi Beach: al Dala Kiye eravamo almeno in cinquecento. Not bad!
Il tempo di bere qualcosina e via alle varie attività. La più attesa sabato mattina era la partita di calcio Hospital Staff-Dala Kiye Staff, finita 1-1 tra le grida dei vari supporter. Nella squadra dell'ospedale erano incluse anche Lauren, Kayla e altre ragazze di Karungu, ma dopo "l'allenamento" e pochi minuti di gioco, i maschi hanno deciso che volevano in campo only men. Ah, gli uomini! Le donne si rifaranno in una squadra tutta femminale di netball.

In these picha: Hospital Staff - Dala Kiye Staff

Nel pomeriggio si sono susseguiti canti, balli, brevi recite e testimonianze. Nel frattempo, sono proseguite le partite tra quattro scuole dei dintorni. Chi voleva, poteva chiedere informazioni sull'AIDS e sulla prevenzione e fare il test dell'HIV.
Domenica la giornata è iniziata con una bella messa all'aperto celebrata da padre Julius in quasi due ore, volate tra canti, balli, e l'omelia di padre Martin.
Al pomeriggio sono riprese le attività del sabato, con canti per tutti i gusti [dal gruppo di donne di Sidika al rapper nostrano] e spassosissime gare di ballo tra bambini.

In this picha: Sidika Women Support Group

In this picha: MTV Karungu Awards :)

Verso sera era prevista la lotteria [primo premio una bella capretta nera, seguita da una radio, cappellini, magliette e infradito] e la premiazione delle squadre che avevano partecipato ai giochi, così come dei vincitori del concorso di scrittura.
Padre Emilio ha chiamato i bambini del Dala Kiye sul palco per estrarre i numeri vincitori e noi ragazze a fare da vallette.. Ma dopo pochi minuti un improvviso rovescio ha messo fine alla nostra carriera di "lotterine". I premi sono stati distribuiti senza tante cerimonie ma con la proverbiale simpatia di padre Emilio, che ha trovato il modo di rendere scherzosa anche la pioggia, e poi tutti a casa, bagnati ma contenti.
A Karungu, anche la Giornata Mondiale dell'AIDS può diventare una festa. Ma il nostro obiettivo resta ben chiaro in testa.

STOP AIDS.

venerdì 27 novembre 2009

Visitors ViaVai

Il mese di novembre ci ha visto ospitare un gran numero di amici, colleghi, vecchie conoscenze e nuove amicizie qui a Karungu. Padre Emilio è tornato dall'Italia con un simpaticissimo team pediatrico formato da Giancarlo, Claudio [custodo gelosamente le tue crostatine al cioccolato!] Emanuele [il mio chirurgo plastico di fiducia ;)] e la mia "vicina di casa" Roberta, con la quale verrò ricordata negli annali della biribba per una purissima da 500 punti! Mitiche!
Si sono fermati solo qualche giorno i meravigliosi "valletti" Francesco&Luca [ops.. Mattia&Moreno] e sono tornati a trovarci don Luciano e Roberto, accompagnato questa volta dalla famiglia. Domani ripartono "la capa" MT e Nadia [buon viaggio, colleghe!] mentre stasera arrivano Inés y Jimena. Domenica, finalmente, riabbraccio la mia adorata MamaKenya, che torna a Karungu con Paola e Martina. E tra qualche giorno arriva Federica.
Tra due settimane, invece, parto io. Ed è di nuovo Italia.

mercoledì 25 novembre 2009

This is not (just) a mango fruit

La settimana scorsa, di ritorno dalla corsetta mattutina ho conosciuto Vivian, 12 anni, di Sori. Con lei c'erano anche un fratello e due sorelle più piccoli. Frequentano tutti la B.L. Tezza Primary School di Karungu: Vivian e il fratello sono in quarta, mentre le bambine sono iscritte rispettivamente alla prima e alla seconda classe. Vivian è la più grande e fa un pò da capogruppo e un pò da mamm: mentre chiacchiera con me, segue con lo sguardo gli altri perchè non restino indietro.
Lunedì li ho incontrati di nuovo, tutti e quattro. Abitando a Sori, questi ragazzini si fanno circa 7km al giorno per andare e tornare da scuola. Ma a Karungu non fa notizia. Se frequentano la primaria dei camilliani, significa che hanno perso almeno uno dei genitori. Purtroppo, anche questo a Karungu non fa notizia.
Lunedì mi hanno seguita per quasi 2km. Pensavo volessero chiedermi qualcosa o semplicemente farsi due risate di questa mzungu che fa finta di correre. Invece, mentre camminavamo verso l'ospedale e parlavamo del più e del meno, Vivian ha aperto la sua borsetta di plastica verde, ha preso e sbucciato un'arancia, e ne ha dato uno spicchio a tutti, me compresa.
Stupita, ho detto di no, grazie. Ma Vivian non si è data per vinta e mi ha offerto un piccolo mango, il mio frutto preferito. Non potevo rifiutare di nuovo, soprattutto davanti ai loro sorrisi a 397 denti. Ho provato a declinare, perchè mi sembrava una sorta di furto. Questi bambini, come tutti gli studenti della scuola di Karungu, ricevono la colazione e il pranzo al Dala Kiye [che ogni giorno fornisce due pasti a oltre 400 ragazzi], ma credo che molti di loro saltino la cena. Perciò, ho abbozzato un non molto convinto: "No, thank you." Ma Vivian mi ha risposto, con un sorriso che non lasciava repliche: "Take one. We have so many." Ne abbiamo tanti?!?! Ero senza parole. E così mi sono ritrovata con la mia faccia ebete a prendere il piccolo mango dalle sue mani e a ringraziare con un semplice: "Erokamano" ["Grazie" in dholuo]. Imbarazzata e commossa, ho provato il piacere della meraviglia. Padre Mario mi ha detto che in questa stagione ci sono molti frutti di mango, e capita che la gente te ne offra uno se ti incontra per strada. Per me resta comunque una bella emozionee.
Se penso al fantasmagorico budget di cui dispongo, alla facilità con cui buttiamo soldi per cose inutili, a tutte le volte che ci lamentiamo perchè non abbiamo abbastanza.. Mi sento piccola e sciocca accanto a Vivian e ai suoi fratelli.
In questi giorni sta per iniziare l'ultimo anno del progetto che seguo. Prepariamo dati, calcoliamo cifre, preventiviamo spese. E' una parte indispensabile perchè tutto vada a buon fine. Ma non posso non pensare che in fondo i numeri sono un pò un gioco, la vita vera la fai tu. Le parole raccontano la vita, i numeri [da soli] non dicono niente.
Vi faccio un esempio. Ecco tre numeri: 38, 11, 20. Cosa vi dicono? Niente, vero? Questa mattina, dopo un anno [non sto scherzando!] e un miliardo di parole in tre lingue, mama Julita [38 anni, vedova e sieropositiva, 11 figli] ha portato tutti i documenti e le foto per l'assicurazione sanitaria, così finalmente lei e la sua famiglia potranno ricevere cure gratuite [un anno di assicurazione per una famiglia intera costa meno di 20€].
Finchè ci sono bambini come Vivian, tutto ha un senso. E ne vale la pena.

In this picha: not [just] a mango fruit

venerdì 20 novembre 2009

Children's Day 2009

In this picha: children in Isebania,
the last town before the tanzanian border
:)

Oggi è la Giornata Mondiale dell'Infanzia. Il 20 novembre 1954 l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottò la Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo. Il 20 novembre 1989, invece, venne firmata la Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia. La Convenzione si basa su 4 principi fondamentali:

1. principio di non discriminazione
2. principio di superiore interesse del bambino
3. diritto alla vita, alla sopravvivenza e allo sviluppo
4. ascolto delle opinioni del bambino

Per leggere il testo completo, cliccate sul titolo:

Convenzione sui Diritti dell'Infanzia

"Tutti i grandi sono stati bambini una volta.
Ma pochi di essi se ne ricordano."

[Antoine De Saint-Exupéry]

Lake Bogoria National Reserve

Se partite da Nairobi alle 7 del mattino e sopravvivete a 16 ore [16 ore! Speechless! No go paroe!] di viaggio per arrivare a Karungu, potete passare per la Lake Bogoria National Reserve.

Il lago si trova a circa 88km a nord di Nakuru, ed è un piccolo gioiello della natura protetto dal WWF e membro del Ramsar [Convenzione internazionale relativa alle Zone Umide di importanza internazionale]. Non è la meta più nota in Kenya, e neanche la più comune, ma questo rende il tutto semplicemente più interessante. Dopo un'abbondante colazione in città e una spesa veloce in centro, siamo pronte a partire per la nostra avventura.
Ci si può accedere da due entrate, una a sud, passando per Mogotio, e una a nord, passando per Loboi. L'entrata nord ha una comoda strada asfaltata e un resort piuttosto carino [perlomeno da fuori], mentre a quella sud si arriva per una strada impossibile piena di buche e rocce e vegetazione selvaggia. Naturalmente, noi arrivavamo da sud.
Lasciata la via maestra e inoltrateci nella strada sterrata che porta al lago, oltre alla solita dose di mucche, asini e capre, abbiamo incontrato anche alcuni struzzi e.. una tartaruga di terra che attraversava placida. Come dice un detto swahili molto in voga in Africa: "Haraka haraka, haina baraka. Pole pole ndyio mwendo." [Chi va veloce non ha benedizione, chi va piano va avanti.. Un pò come il nostro "Chi va piano va sano e va lontano"!] L'incontro sarà profetico: viaggiando pole pole grazie al fido Bon [candidato e proclamato "Best driver 2009" con standing ovation] arriveremo a casa, stanche ma sane e salve!

In this picha: Haraka Haraka Haina Baraka :)

Dopo esserci inoltrate sempre più nel selvaggio north/west del Paese, dobbiamo ammettere la sconfitta: nonostante la nostra dettagliatissima cartina, ci siamo perse! Oro benon.
Torniamo indietro fino al bivio principale e comincia a chiedere alle persone che incontriamo: tutti ci indicano la stessa direzione, ma il lago non si vede, ed è già passato mezzogiorno.. Mentre ci consultiamo per decidere se proseguire o meno.. Ecco il cancello della riserva! Evvai ;)
Nonostante sembri una stazione di servizio abbandonata e nonostante la faccia perplessa dell'omino dei biglietti, così contento di vedere dei visitors che non ci fa pagare per la macchina, i nostri volti sorridono: obiettivo raggiunto!
Il lago Bogoria è davvero affascinante. Talmente piccino che sulla cartina è appena abbozzato, luccica come una pietra preziosa verde/blu incastonata tra le colline. Il volantino dice che ospita tutta una serie di rettili e serpenti vari che, fortunatamente, non si fanno vedere. A parte qualche facocero e alcune zebre, la presenza più cospicua è senza dubbio quella dei flamingo. Numerosissimi lungo le rive del lago, volano via al nostro passaggio per poi riscendere poco lontano, quasi volessero appena sgranchirsi le ali.

In this picha: two flamingos flying away

Il lago Bogoria è famoso anche per due fenomeni naturali: i geyser e le hot spring [le sorgenti termali]. La zona delle sorgenti è delimitata perchè pericolosa, ma ci si può avvicinare e in alcuni tratti è possibile camminare in prossimità dell'acqua. Con le infradito che sembrano appiccicarsi al terreno smosso e il caldo caldissimo che esce dal cuore della Terra, sembra di trovarsi in un paesaggio lunare-tropicale. Meraviglioso.


In these picha: marvellous hot springs

I geyser sembrano simboli di una potenza primordiale che niente placa, e ci ricordano che l'uomo può solo scopiazzare ciò che la natura ha già fatto, e meglio.

In this picha: Mr. Geyser

Al termine del nostro safari, compriamo del miele dalle signore che si accalcano alla nostra macchina: la guida dice che quello prodotto in questa zona è tra i migliori del Kenya, e noi ci fidiamo della mitica Lonely Planet. In ogni caso, le donne sono così sorridenti che non possiamo certo dire loro di no!
Soddisfatte, ci avviamo verso casa.. Peccato che la strada sia ancora mooolto lunga. La prima città è Kabarnet [Si chiama proprio così! Chissà se fanno il vino buono!] e poi su e giù per gli altipiani fino a Eldoret, città natale dei più importanti runner kenioti. Una corsa al Nakumatt per comprare la cena, che faremo in macchina senza fermarci e seguiti da una pioggia praticamente incessante. Il tramonto è alle 7, ma ci mancano ancora 4 ore di viaggio.. Poco alla volta si diradano prima le auto, poi le moto, le bici, e infine anche le persone a piedi.
Ultima sosta a Kendu per fare benzina in una stazione pressochè deserta, e poi no stop fino a Karungu, nel caro, amato, profondo bush. Home sweet home!

In this picha, from left:
Maria Teresa, Nadia, Angi & Kayla :)

mercoledì 11 novembre 2009

Ho imparato a sognare

[...] Ho imparato a sognare
e ho iniziato a sperare
che chi c'ha avere avrà
ho imparato a sognare
quando un sogno è un cannone
che se sogni
ne ammazzi metà
Quando inizi a capire
che sei solo e in mutande
quando inizi a capire
che tutto è più grande
C'era chi era incapace a sognare
e chi sognava già

Tra una botta che prendo
e una botta che do
tra un amico che perdo
e un amico che avrò
che se cado una volta
una volta cadrò
e da terra, da lì mi alzerò

C'è che ormai che ho imparato a sognare, non smetterò

Ho imparato a sognare
quando inizi a scoprire
che ogni sogno ti porta più in là
cavalcando acquiloni
oltre muri e confini
ho imparato a sognare da là
Quando tutte le scuse
per giocare son buone
quando tutta la vita
è una bella canzone
C'era chi era incapace a sognare
e chi sognava già [...]

C'è che ormai che ho imparato a sognare, non smetterò

Ho imparato a sognare [Negrita]

In this picha: Angi&Alphons
Special thanks for this picha: Maddalena :)

martedì 10 novembre 2009

School based evaluation test

E' tempo di esami in Kenya, prima delle vacanze di dicembre. Visitando alcune scuole, mi hanno spiegato che il Ministero da alcune direttive, e poi ogni distretto prepara i papers per le varie materie a seconda della zona, in modo da calare la valutazione della preparazione nelle differenti realtà locali.
In una scuola primaria di Isebania, al confine con la Tanzania, gli insegnanti mi hanno dato una copia di alcuni moduli per le varie classi. Le materie sono le più diversea: matematica, inglese, kiswahili, studi sociali, religione, storia del Kenya e dell'Africa, geografia. Alcune domande, soprattutto quelle della settima e ottava classe, colgono impreparati sia me sia gli altri amici kenioti Daniel e William. Altri quesiti, invece, sono interessanti perchè dicono qualcosa della cultura di questo Paese. Altri ancora, infine, strappano un sorriso. Eccovi alcuni esempi tratti dai test che i ragazzi del Kenya si apprestano a fare, e provate a dare le risposte, se le sapete ;)

- un gruppo di persone con un comune antenato è detto ... [clan-famiglia-villaggio]
- ... è usato come mezzo di trasporto [capra-pecora-asino]
- il tempo migliore per piantare il grano [vento-pioggia-nuvoloso]
- le piccole piogge in Kenya sono in ... [marzo-aprile-ottobre]
- i dieci comandamenti sono stati dati a Mosè da Dio sul monte ... [Elgon-Kenya-Sinai]
- la ... causa la malaria [zanzara-mosca]
- abbiamo bisogno di ... a casa per la nostra igiene [latrina-lavandino-rasoio]
- i cani ci aiutano a tenere lontani i ... [genitori-ladri]
- celebriamo il Kenyatta Day nel mese di ... [dicembre-ottobre-giugno]
- i muri di una casa permanente sono fatti di ... [pietre, fango, erba]
- si cuociono i cibi in ... [camera da letto-cucina]
- Jane ha comprato una capra a 3.000 ksh e l'ha venduta a 4.500 ksh. Calcola il suo guadagno
- se beviamo acqua sporca diventiamo ... [sani-malati]
- la zanzara è un insetto che se punge provoca ... [colera, punture, malaria]
- noi mangiamo le foglie di ... [sukumawiki - canna da zucchero - mais]
- ... è una malattia pericolosa [raffreddore - AIDS]
- in alcune comunità tradizionali africane la perdita di sangue durante la circoncisione indica che gli iniziati sono ... [forti e in salute - separati dalla comunità - uniti con gli antenati - pronti per guidare gli altri]
Per concludere, ecco un testo usato come esercizio di lettura e comprensione per la classe sesta:

"Pazienza è nata in un villaggio poverissimo. I suoi genitori non erano molto in salute e lei doveva lavorare sodo per guadagnarsi i soldi per pagare le tasse scolastiche. Era determinata ad avere un futuro migliore della sua famiglia d'origine. Ogni mattina si alzava presto per mungere la loro unica mucca e vendere il latte. Lo vendeva subito perchè aveva molti clienti, cosicchè per le 5e30 poteva essere a casa e preparsi per la scuola.
Fortunatamente, la scuola non era molto lontana da casa sua, così raramente arrivava in ritardo. Pazienza piaceva agli insegnanti perchè si impegnava ed aveva un bel carattere. Era tra gli studenti migliori e aveva ottimi voti.
Dopo la scuola, Pazienza correva a casa ad aiutare la madre nelle faccende domestiche. Dopo cena, faceva ardere la lampada fino a mezzanotte per finire i compiti e studiare. Andava a dormire sempre tardi la sera.
Questa è stata la sua vita quotidiana fino agli esami finali. Dopodichè, grazie ai suoi voti brillanti, è riuscita ad ottenere una borsa di studio in una delle migliori scuole del Kenya. Con la benedizione dei genitori, ha proseguito con successo il suo percorso scolastico, andando all'università e scegliendo medicina.
Oggi è un rinomato pediatra. Ed è riuscita a affrancare la sua famiglia dalle ristrettezze della povertà."

mercoledì 4 novembre 2009

Alla mia Mamma-Pirata

...che non si chiude il cerchio...

[neanche con tutti i bambini del mondo]



angi

p.s. e buon anniversario a te+papà!

giovedì 29 ottobre 2009

Prevention in school

In Kenya ci sono tantissime scuole primarie, dalle grandi città ai posti più sperduti. Il livello di qualità di certe scuole meriterebbe un discorso separato e piuttosto lungo, ma di sicuro va apprezzato il tentativo di dare un'istruzione di base ai tanti bambini e ragazzi che popolano questo Paese. Tra le varie iniziative della missione camilliana, c'è anche Awake, un gruppo in buona parte sponsorizzato dal progetto che seguo e che si occupa di prevenzione nelle scuole. C'è poi un gruppo parallelo, Happen, che svolge lo stesso lavoro a livello diocesano, con sede a Rongo. Awake di solito segue questa prassi: contatta i presidi e gli insegnanti delle scuole primarie del territorio [la scuola primaria in Kenya dura otto anni e corrisponde alle scuole elementari più medie italiane] e, se questi accettano, visitano la scuola in questione e incontrano gli alunni. Il programma prevede degli incontri di formazione per tutti e poi si concentra su un gruppo di 25 ragazzi scelti per essere "peer educator", letteralmente "educatori alla pari", anche se educatore è una parola spesso abusata e in questo caso indica semplicemente che questi ragazzi si impegnano a parlare di certi temi ai loro coetanei, in modo informale e con la complicità dell'età e dell'essere compagni di classe. Anche perchè, diciamocelo, gli argomenti sono abbastanza complessi e "rognosi" e si possono riassumere in: sessualità, in senso lato, e malattie sessualmente trasmissibili, primo fra tutti l'HIV/AIDS. Mica 1+1= 2 o ABC.

In this picha: Daniel during the training

Dopo questa doverosa nota introduttiva, eccovi il racconto di un pomeriggio a Karungu. Perchè dietro le belle [e a volte vuote] parole che illustrano i progetti, ci sono le persone, e sono loro a fare la differenza.
Lunedì abbiamo visitato la Koga Primary School, una scuola primaria che si trova a Seka, un villaggio talmente deeply into the bush che per arrivarci ci siamo persi. Vedevamo questo edificio su una piccola collina e giravamo a vuoto per tentare di raggiungerlo. Ad un certo punto Daniel (coordinatore di Awake), è sceso e si è messo a indicarci la via inventando un percorso che solo lui vedeva. Sembrava di essere in "Ogni cosa è illuminata", un bel film che ho rivisto di recente. In una scena, l'anziana signora della casa nel campo di girasoli , accetta di accompagnare i protagonisti in riva al fiume. Ma siccome non è mai salita in un'auto in vita sua e non si fida, decide di andare a piedi. Jonathan e compagni si immergono così nella campagna ucraina, muovendosi davvero "a passo d'uomo", con la cagnetta Sammy Jr. Jr. sul cofano.
Ma torniamo a noi. In macchina ci siamo Mary, l'altra operatrice di Awake; Jackson, un giovane volontario che mi stupirà; Duncan, il driver; ed io. Dopo pochi metri ritroviamo un sentiero e, a un'ora dalla partenza da Karungu, arriviamo alla scuola, dove ci accolgono due giganteschi alberi di Jacaranda carichi dei loro fiori lilla.

In this picha: Koga Primary School

La scuola è stata costruita dalla comunità, ed ora ha ottenuto il riconoscimento di istituto pubblico, finanziato dal governo. La gente di Seka, però, ha tanta buona volontà ma pochissimi soldi. Koga, con i suoi 450 studenti, è una scuola "in progress": dopo aver terminato i lavori per la sala insegnanti e tre classi, le altre cinque sono ancora di fango, sorrette da delle impalcature di legno e con un tetto di lamiera. Di fianco al blocco di mattoni, tre uomini lavorano alle latrine.
Anche l'aula dove si svolgerà la nostra lezione ha i muri, i vetri, la lavagna e poco più: metà dello spazio è occupato da assi di legno per la costruzione, l'altra metà dai banchi.
Ci aspettano il preside, alcuni insegnanti e 25 sorridenti ragazzini in divisa bianco-verde. Sono alcuni dei bambini sponsorizzati dal Dala Kiye, che paga le school fees a 45 orfani di Seka. La scuola, in quanto governativa, ha delle agevolazioni: 6 insegnanti sono pagati dallo Stato e anche parte del materiale didattico. Ma non è abbastanza, e così i genitori (o chi per loro) contribuiscono per pagare lo stipendio ad altri insegnanti e acquistare ciò di cui la scuola ha bisogno. Prima di lasciarli a Daniel, il preside mi presenta e dice che vengo dall'Italia. Allo sguardo a punto di domanda dei ragazzini, rispondiamo con una mappa del mondo, dove indichiamo il BelPaese. La forma a stivale strappa loro una risata divertita.
Seguo la lezione per qualche minuto, poi esco a fare qualche foto accompagnata da Eric, un ragazzino di 16 che frequenta l'ottava classe e parla inglese. Grandi sorrisi, strette di mano e pose buffe si alternano davanti al mio obiettivo.

In this picha: young and smiling students at Koga Primary School :)

Daniel comincia sempre in inglese, ma spesso prosegue in luo, la lingua locale, per essere sicuro che il messaggio arrivi forte e chiaro. Tuttavia, non serve seguire parola per parola per essere trascinati dalla passione e dall'energia di Daniel. Si vede che gli piace quello che fa, e che ci crede. E i ragazzini non gli staccano gli occhi di dosso.
Ma la vera sorpresa della giornata è Jackson, un giovane volontario che mi sembrava fin troppo timido.
Quando comincia a parlare, si trasforma nel Fiorello di Karungu. E' preparato, simpatico, coinvolgente. Parla, si muove, canta, recita una breve scenetta con una ragazza di Koga. Gli studenti ridono e lo seguono. Ma tra una risata e l'altra, affronta cose serissime. E quando dice di stare attenti perche' rischiano una gravidanza, i maschi sorridono imbarazzati e qualcuno fa spallucce, ma le femmine diventano serie. Solo domenica è stata ricoverata una ragazzina per un cesareo. Aveva 15 anni, ma chi l'ha assistita è convinto ne avesse anche meno. E del padre del bambino nemmeno l'ombra.
Jackson ricorda che alla gravidanza quasi sempre segue l'abbandono della scuola. E se a 15 anni ti ritrovi madre e senza un'istruzione, sei fregata. Senza contare il rischio di contrarre l'HIV/AIDS. E non ride più nessuno.

Run, mzungu, run!!

Domenica 25 ottobre si è corsa la 24° maratona di Venezia. I primi tre classificati, [c'è bisogno di dirlo?] sono stati tre kenioti: il primo posto è andato a Komen John, arrivato al traguardo in 02:08:13.
Quando al mattino vado a fare due passi corricchiando, sulla strada del ritorno incontro sempre un gruppetto di bambine che, con le loro divise a quadretti bianche e verdi, vanno alla Kiranda Primary School. "Good morning, Angela", e cominciano a seguirmi. Per loro la scenetta è piuttosto divertente, e mentre io dopo pochi minuti sono bordeux, e vedo sfrecciarmi a fianco Lauren, Christine e Kayla, le bambine mi corrono accanto ridendo e incitandomi "Run, mzungu, run!!" Mi accompagnano fino alla loro scuola, e poi è tutto uno sbracciarsi a salutare, mentre io proseguo verso il St. Camillus.
Da assoluta principiante della corsa, scrivo questo post per congratularmi con il mio runner preferito:

Ico :) :) :) Mitico mio cognato!!!

Cliccate e ammiratelo, è quello con la maglia blu!


domenica 25 ottobre 2009

Aluru Island

E' da un anno e mezzo che la osservo dal compound della missione. Questa isola così vicina e così lontana. L'isola dei pescatori. Aluru.
Oloo, il proprietario della barca, non parla una parola di inglese, ma grazie ad Evans e Daniel concordiamo l'appuntamento e il prezzo. Lo so che mi sta proponendo una cifra azzardata per i suoi standard, ma non mi sembra proprio il tipo che fa il furbo e non contratto più di tanto.
Sabato mattina alle 8.15 scendiamo al lago direttamente dal cancello della missione, dove ci aspetta la nostra verde, gialla e blu Akingi B [akinyi/akingi = nata di mattina, in luo].
Nonostante i bordi frastagliati come tante ferite, l'acqua che entra in quantità allarmante e il motore tisico che invece di ruggire come un leone tossisce come un gattino raffreddato, la barca ci porterà sani e salvi alla meta, e ritorno.
Aluru è a circa 6 km dal St. Camillus, e occorrono almeno 45 minuti per coprire la distanza. Il viaggio è davvero affascinante, soprattutto al mattino presto. Il lago è uno specchio calmo e blu rotto solo dai riflessi del sole che si ammira vanitoso.

In this picha: a deep blue lake Victoria

Di tanto in tanto si incontrano i pescatori che rientrano esausti dalla notte, con il loro carico di omena. Altri invece sono di nuovo al lavoro, alla ricerca della tilapia e del pesce persico. Alcuni usano barche a motore, altri hanno delle vele, spesso logorate dal tempo e dal vento, altri semplicemente remano con braccia tornite dalla fatica e dal movimento alternato del gettare le reti vuote e risollevarle colme di pesci.
Aluru si profila all'orizzonte e le baracche sulle sue sponde luccicano al sole. Prima di attraccare facciamo il giro completo dell'isola, che mostra tutta la sua desolazione. Aluru si può riassumere in tre colori: il marrone della terra, il verde di qualche albero, il grigio delle "case", ma chiamarle così mi sembra un pò eccessivo. Eppure, c'è chi sceglie di vivere qui. Sono soprattutto pescatori di Sori, che preferiscono passare un pò di tempo ad Aluru perchè la pesca è più proficua. A vedere quanto sono grossi i pesci nelle ceste, c'è da crederci: ai miei piedi giace uno "spaventoso" persico da 25 kg, e gli altri pesano poco meno.

In this picha: Aluru Island

Ci sono anche alcune donne: chi pulisce e fa seccare gli omena, chi cucina qualcosa per il pranzo o da portare al mercato insieme al pesce. E poi, come sempre in Africa, anche qui ci sono dei bambini. Ad Aluru sono belli sporchi, con vestiti consumati, quasi tutti senza scarpe e le manine appiccicose. Tuttavia, ci accolgono con un sorriso travolgente, e in men che non si dica mi ritrovo con quattro manine appiccicoose attaccate alle mie dita, che mi accompagnano per il giro dell'isola. Oggi sono a casa, ma durante la settimana questi bambini devono fare Aluru-Sori e ritorno tutti i giorni, per andare a scuola.

In this picha: a woman cleans omena in front of her "house"

Qualche pescatore, poche donne, alcuni bambini, il censimento è presto fatto. Qualche baracca, niente acqua corrente anche se circondati dall'acqua del lago, niente elettricità, niente. Eppure da un tetto di lamiera spunta un'antenna, hanno tutti il cellulare, e da qualche parte una radio caricata a batteria suona una musica ritmata che ci fa da soundtrack.
Se si sale appena un pò sulla "collina", si trova un bellissimo albero che sembra fare da guardiano ai pescatori, come un vecchio faro, solitario, maestoso e verde. Le due isole che, da Karungu, appaiono subito dietro ad Aluru, si rivelano piccole e lontane. Il lago è del colore del cielo e sembrano fondersi, all'infinito.
Invece di rientrare subito a casa, ci facciamo accompagnare a Sori, al "porto". E' curioso vedere il paese dalla barca, le case e le capanne, giovani che vanno al largo per farsi il bagno lontano da occhi indescreti, ragazze e bambini sulla riva che fanno il bucato, centinaia di metri di reti rese argento dall'omena spazzolato dalle donne, mentre gli uomini dormono il giusto riposo dopo una notte di lavoro.
Di ritorno da Aluru, Sori, con il suo brulicare di umanità e colori, sembra un porto di mare in un giorno di festa.

In this picha, from left:
Stephen, Amanda, Kayla, Angi, Maddalena, Jimmy, Giovanni
& some children in Aluru Island

mercoledì 21 ottobre 2009

Scorci di vita

Di tanto in tanto inserisco i dati delle cartelle cliniche dei nostri pazienti nell'apposito programma in un computer dell'ospedale. Sfogliando tra quelle pagine, entro in punta di piedi nella vita del St. Camillus M. Hospital, e sbircio nella vita della gente di Karungu.
Si scopre così che alcune informazioni essenziali in una biografia in Italia, qui non lo sono affatto. Di nessuno è riportato il numero della carta d'identità. Di nessuno è indicata la data di nascita, e viene registrato con un collettivo 01 gennaio e l'anno di riferimento. Solo alcuni bambini piccoli, se nati in ospedale, sanno quando sono venuti al mondo. Per gli altri, è un giorno perso nella memoria della famiglia. Di nessuno è riportato un indirizzo, seppur postale.
Di ogni paziente, invece, viene meticolosamente segnato il villagge, la sub-location e la location, oltre che il district di appartenenza. Un esempio? Noi ci troviamo a Rabuor (village) Gunga (sub-location), West Karungu (location), Nyatike (district). In molte cartelle è indicato anche il nome del chief locale di riferimento. Di alcuni, ma pochi, viene indicata la religione, che di solito si limita ad alternarsi tra catholic e S.D.A. [Seven Day Adventist = Avventisti del Settimo Giorno] che qui raccoglie numerosi seguaci.
La cartella riporta in alto il nome del paziente, e di seguito se è moglie/marito/figlio di. Maschio o femmina, età, status (single, sposato, vedovo/a). Di fianco, c'è una casella per il NHIF, l'assicurazione sanitaria governativa. Sono ancora pochi ad averla, anche se il numero è in continuo aumento. E, non so perchè, ma essere tesserati sembra essere di buono auspicio.
Di seguito viene riportata la diagnosi, la data di ammissione e quella di dimissione. Oppure quella di morte, se il tempo, nel frattempo, ha messo fine alla sua corsa.
R.I.P. augura la cartella. Rest in Peace.
I casi di ricovero sono differenti, ma soprattutto per tre motivi: malaria, TBC, parto. E poi quella sigla, che fa capolino tra le parole illegibili del medico, come solo i medici sanno renderl illegibili: ISS [Immuno Suppressive Syndrome. Detto con un'altra sigla, AIDS.]

In this picha: cartella di un paziente sieropositivo
Special thanks for this picha: the travel nurse

Entro ed esco silenziosa da questi scorci di vita.
Leggo di Samuel, 50 anni e 40kg, portato via dall'AIDS, come è successo a Griffine, di 6 mesi e mezzo. O a Elisha, di 15 mesi. Però c'è anche Eunice, 25 anni e 49kg, sieropositiva, che dopo 10 giorni è stata dimessa. Eunice 1 - ISS 0. E pazienza se è solo il primo tempo di una lunga partita. C'è anche Tobias, che nonostante l'AIDS ha 70 anni. E l'assicurazione.
Assicurare tutta la famiglia, moglie, marito e numero variabile di figli, per un anno, costa poco meno di 2.000 ksh (meno di 20 €). Per alcuni, la cifra è proibitiva. C'è chi critica questa polizza, perchè copre solo le spese mediche di base. Ma qui può fare la differenza, se ci sono persone come Demis, che lascia un debito di 105 ksh (meno di 1 €) perchè non ha abbastanza denaro. Oppure George, che paga 1.000 ksh in due rate da 800 ksh e 200 ksh.
Le cure di base possono essere un limite, certo, ma a volte sono sufficienti a salvarti la vita. Maxwell, nato la vigilia di Natale dell'anno scorso, grazie al NHIF è stato ricoverato. Dopo 6 giorni di malaria, la sua mamma l'ha riportato a casa. Senza assicurazione, nonostante le tariffe a livello caritativo dell''ospedale, il conto sarebbe stato di 15,300 ksh (150 €). Forse la mamma di Maxwell ci avrebbe pensato due volte prima di ricoverarlo. E pazienza se ha solo 10 mesi.
Anche Pauline, sieropositiva, ha l'assicurazione. E così ha potuto concedersi il "lusso" di stare in ospedale 15 giorni, durante i quali ha avuto un bambino.
Ha rinunciato al suo bimbo, invece, Treeza, 17 anni, mandata al nostro ospedale da un health centre a qualche chilometro da Karungu, dove era stata portata in seguito ad un aborto non andato a buon fine.
Stesso destino per Moline, coetanea di Treeza. Moline risulta sposata. Ma non ha tenuto il bambino che portava in grembo. Al St. Camillus l'hanno accompagnata alcune compagne di scuola, perchè dopo aver abortito si è sentita male in aula. E il marito, chissà.
Anche Everline è molto giovane, 18 anni, è sposata e incinta. Ma suo marito le era accanto, hanno sottoscritto il NHIF, al momento del parto è venuta in ospedale ed è andato tutto bene.
Di storie come queste ce ne sono centinaia. La gente viene dai villaggi vicini, ma anche da alcuni posti lontani come Tonga, Macalder, Muhuru, che distano almeno 45 minuti di macchina. A volte non c'è niente da fare, è una sfida persa contro il tempo, soprattutto contro l'AIDS. Altre volte, invece, l'ospedale è un'ancora di salvataggio. E ogni paziente dimesso, una vittoria grande. Fino alla prossima sfida.

giovedì 15 ottobre 2009

With their own two hands

In this picha: children in B.L. Tezza School
Special thanks for this picha: the travel nurse :)

I can change the world

With my own two hands
Make a better place
With my own two hands
Make a kinder place
With my own two hands
With my own
With my own two hands
I can make peace on earth
With my own two hands
I can clean up the earth
With my own two hands
I can reach out to you
With my own two hands
With my own
With my own two hands

[Ben Harper, With my own two hands]

martedì 13 ottobre 2009

About Steven. And me.

Steven è uno dei ragazzi più grandi del Dala Kiye. I suoi documenti dicono che è nato nel 1991, e quindi ha 18 anni, ma il dubbio che l'anagrafe abbia commesso un errore mi torna ogni volta che lo vedo, perchè non dimostra più di 12 anni. La sua storia un pò assomiglia a quella degli altri ospiti del centro, un pò è speciale.
Orfano di AIDS, è lui stesso sieropositivo. Quando è arrivato al St. Camillus aveva la TBC ed era malnutrito, ma in particolare aveva gravi infezioni alla pelle e una serie di bruttissime lesioni cutanee che lo mettevano molto a disagio e lo rendevano oggetto di scherzi e discrimazione da parte dei suoi coetanei. Le sue precarie condizioni di salute l'avevano inoltre costretto a lasciare la scuola, e questo l'aveva portato a isolarsi ancora di più.
Ho letto in un libro di Erri De Luca che "una quantità di coraggi spuntano da vergogna e sono più tenaci di quelli saliti dalle collere che sono scatti rapidi a sbollire. Invece le vergogne sono di grano duro e non scuociono."
Forse è per questo che Steven ha dimostrato una forza di ricominciare incredibile. Di sicuro, molto hanno fatto le cure personalizzate, la dieta equilibrata e l'attenzione e l'affetto delle foster mother e degli operatori del Dala Kiye. Ma la forza per cambiare ce l'hai tu e nessun altro. E Steven ne ha da vendere.
Le sue condizioni migliorano, la pelle si fa più liscia, spunta il sorriso da bambino che lo contraddistingue, ritorna a scuola, stringe le prime amicizie.
Ma quanto il destino si accanisce, picchia duro, si sa. E Steven un paio di anni fa prende la meningite, che gli rompe la manopola del volume rasente lo zero.
Steven è sordo. In realtà, il medico dice che se gli stai vicino e urli fortissimo qualcosina ina ina da un orecchio sente. Te capirè.
Un nuovo inizio, una nuova sfida. Steven l'anno scorso è stato trasferito a Rongo, in una scuola dove può imparare il linguaggio dei segni. Elizabeth, social worker storica del Dala Kiye, ha imparato alcune semplici frasi per comunicare con lui con le dita. E anche gli altri bambini, dopo lo stupore iniziale, hanno fatto lo stesso. Certo i primi tempi a Rongo sono stati davvero tosti. E quando torna a Karungu, Steven non se ne vuole più andare. Ma un pò alla volta è tornato a sorridere. E a ridere. E ha una risata bellissima.

In this picha: Steven :)

La sua storia è speciale di per sè, ed è speciale per me. Il mio udito non è compromesso come quello di Steven ma è bizzarro, si sintonizza solo su alcune frequenze e delle altre se ne frega. Ho un udito non convenzionale, che ad averlo normale era troppo facile. E come dice chi mi conosce bene, a me le cose facili non piacciono.
Beh, a volte non è facile per niente. Ma ha anche i suoi vantaggi. D
a quando sono diventata un'angibionica [proprio cosi, in un'unica parola] ogni giorno è una sfida e una scoperta. E anche se continuo a sentirmi un pò stupida a volte, quando tutti capiscono meno la sottoscritta, so che sono una privilegiata. Perchè riesco ad emozionarmi al "grillare" dei grilli, perchè sorrido allo squillare del telefono, perchè come un bambino di 3 anni mi scopro a chiedere: cos'è questo suono? e a meravigliarmi della risposta. Perchè ho scoperto che le canzoni di Ben Harper sono più belle di quanto credessi. Perchè la voce dei miei nipotini, bianchi e neri, mi fa impazzire. Perchè posso sentire la risata di Steven. Che di affetto ne ha ricevuto pochissimo in passato, ma adesso sta facendo il pieno. Io dall'amore sono stata sommersa, a cominciare dalla mia famiglia. A volte di amore ne ho ricevuto così tanto che, come dice Lorenzo in una canzone: "e son scappata via perchè da troppo amore, non so respirare." Ma questa è un'altra storia.
Sono fortunata perchè ho dei genitori che mi hanno sostenuta sempre, anche quando non capivano fino in fondo le mie scelte. Perchè ho due fratelli più grandi che, a volte senza saperlo, mi hanno insegnato tanto e le loro famiglie sono un modello. Perchè ho degli amici che sono "l'altra parte di me". Perchè vivo in un posto che mi piace tantissimo, e che mi sta dando molto più di quanto riesca ad offrire. Perchè mi hai insegnato, tra la miriade di cose che mi hai insegnato, a non avere paura di essere se stessi, che si può andare lontano e lontano, ma da se stessi non si scappa.
Perchè non bisogna mai fermarsi.

In this picha: angibionica :)