Esattamente un anno fa, mi trovavo in Italia. Lara e Flavio si apprestavano a celebrare uno dei miei matrimoni preferiti. Il giorno dopo, andavo a Torino, all'ospedale Martini. I capelli rasati per qualche centimetro sopra l'orecchio destro, una grande e inaspettata calma dopo l'ansia dei mesi precedenti, due persone speciali accanto.
Ricordo il sorriso dell'infermiere che mi è venuto a prendere in stanza, la luce acceccante in sala operatoria, gli occhi rassicuranti del dottor Di Lisi prima di addormentarmi.
Al risveglio ero un pò frastornata, con una benda da cartone animato attorno alla testa, un vago senso di aver intrapreso una strada senza ritorno. Bionica.
I primi giorni un mal di testa che non mi mollava mai. Ma anche il budino al cioccolato dell'ospedale, tanti messaggi e una rosa.
Il venerdì, la dottoressa Consolino, la sua emozione e quell'aggeggino che sarebbe diventato parte integrante di ciò che sono.
I primi mesi la confusione totale, l'incapacità di capire, gli esercizi in riva al mare, i capelli troppo corti, le cover colorate dai miei nipotini e dalle amiche. La disponibilità di Gianluca e Tiziano dell'AB, la pazienza della mia famiglia, la premura nei miei confronti e la curiosità, fino a quando Eric mi ha chiesto quello che tutti volevano sapere: Ma cos'hai lì? A cosa ti serve? E tutti a ringraziare un bambino di 5 anni per averli tolti dall'imbarazzo.
A seguire Karungu, padre Mario e il Guardiano del Faro di Bambarèn, Gino che miagola di continuo, il lago Vittoria che di sera fa un rumore incredibile.
La mia foto nelle tele dell'AB che pubblicizzano l'impianto cocleare. All'ultima visita a Torino ne avevano due in ambulatorio.
Ha ragione U May, il vecchio monaco birmano: "E' la paura che rende ciechi e sordi. La rabbia. L'invidia. La diffidenza. Esiste solo una forza più grande della paura." [L'arte di ascoltare i battiti del cuore, J. P. Sendker]
Qual è quella forza? L'amore, dice U May. E tante grazie.
"Ama il prossimo tuo come te stesso" [Mt 19, 16-19] ci ha detto. Ma si è dimenticato di dirci che la fregatura non era tanto nell'amare l'altro, ma nel voler bene e a se stessi. Perchè se non si ama se stessi, se non ci si vuole bene per primi, non si può amare davvero chi ci sta accanto. Se non ci si rispetta per ciò che si è, non si può chiedere rispetto. Se si nasconde tanta parte di sè, non si può chiedere la verità. Prima si impara ad accettarsi per ciò che siamo, meglio è, per tutti. Qualcuno più in gamba di me l'ha già capito: abbiamo tutti qualcosa di speciale. Chi gli occhi, chi il cuore, chi la testa e chi il cervello. Chi le orecchie. Lui ha i capelli. E, parola mia, anche molto altro.
Dopo un anno, come va? Beh, sono ancora on the road. E portare l'impianto cocleare è come uscire dallo sterrato di Karungu con i suoi cartelli confusi e talvolta indecifrabili e ritrovarsi in un'autostrada con tutte le indicazioni finalmente chiare. Alcune volte, invece, sembra di procedere su una strada in salita con il freno a mano tirato. Vedi la vetta e hai l'impressione che invece di salire, scendi.
Ma fa niente. Ci si ferma. Si molla il freno. E si riparte.
Io non ho [più] paura.
Al risveglio ero un pò frastornata, con una benda da cartone animato attorno alla testa, un vago senso di aver intrapreso una strada senza ritorno. Bionica.
I primi giorni un mal di testa che non mi mollava mai. Ma anche il budino al cioccolato dell'ospedale, tanti messaggi e una rosa.
Il venerdì, la dottoressa Consolino, la sua emozione e quell'aggeggino che sarebbe diventato parte integrante di ciò che sono.
I primi mesi la confusione totale, l'incapacità di capire, gli esercizi in riva al mare, i capelli troppo corti, le cover colorate dai miei nipotini e dalle amiche. La disponibilità di Gianluca e Tiziano dell'AB, la pazienza della mia famiglia, la premura nei miei confronti e la curiosità, fino a quando Eric mi ha chiesto quello che tutti volevano sapere: Ma cos'hai lì? A cosa ti serve? E tutti a ringraziare un bambino di 5 anni per averli tolti dall'imbarazzo.
A seguire Karungu, padre Mario e il Guardiano del Faro di Bambarèn, Gino che miagola di continuo, il lago Vittoria che di sera fa un rumore incredibile.
La mia foto nelle tele dell'AB che pubblicizzano l'impianto cocleare. All'ultima visita a Torino ne avevano due in ambulatorio.
Ha ragione U May, il vecchio monaco birmano: "E' la paura che rende ciechi e sordi. La rabbia. L'invidia. La diffidenza. Esiste solo una forza più grande della paura." [L'arte di ascoltare i battiti del cuore, J. P. Sendker]
Qual è quella forza? L'amore, dice U May. E tante grazie.
"Ama il prossimo tuo come te stesso" [Mt 19, 16-19] ci ha detto. Ma si è dimenticato di dirci che la fregatura non era tanto nell'amare l'altro, ma nel voler bene e a se stessi. Perchè se non si ama se stessi, se non ci si vuole bene per primi, non si può amare davvero chi ci sta accanto. Se non ci si rispetta per ciò che si è, non si può chiedere rispetto. Se si nasconde tanta parte di sè, non si può chiedere la verità. Prima si impara ad accettarsi per ciò che siamo, meglio è, per tutti. Qualcuno più in gamba di me l'ha già capito: abbiamo tutti qualcosa di speciale. Chi gli occhi, chi il cuore, chi la testa e chi il cervello. Chi le orecchie. Lui ha i capelli. E, parola mia, anche molto altro.
Dopo un anno, come va? Beh, sono ancora on the road. E portare l'impianto cocleare è come uscire dallo sterrato di Karungu con i suoi cartelli confusi e talvolta indecifrabili e ritrovarsi in un'autostrada con tutte le indicazioni finalmente chiare. Alcune volte, invece, sembra di procedere su una strada in salita con il freno a mano tirato. Vedi la vetta e hai l'impressione che invece di salire, scendi.
Ma fa niente. Ci si ferma. Si molla il freno. E si riparte.
Io non ho [più] paura.
In this picha: Akingi B, my dholuo name
[Akinyi for Born in the morning, B for Bionic]
Visitate il sito:
Advanced Bionics
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