Barack Obama è il 44esimo presidente degli Stati Uniti d’America. In Kenya è stata indetta una giornata di public holiday. Dopo il Kenyatta Day per chi ha portato i kenioti all’indipendenza dagli inglesi e il Moi Day del presidente-dittatore che ha guidato il Paese per oltre vent’anni (ricorrenza in seguito tolta dal calendario, anche se il riposo è rimasto) ecco l’Obama Day. Il giorno dopo le elezioni alle 8 del mattino già tutti conoscevano il risultato. Considerando il fuso orario e il fatto di trovarsi nel bush, la cosa ha dell’incredibile. Naturalmente la gente di Karungu era molto contenta. C’era chi, come Felix, ha indossato la maglietta con il volto di Obama per tutto il giorno e chi, come John, ha scelto il nuovo presidente per fare da sfondo al suo mobile phone. Se si chiede il perché la risposta è semplice: “Perché è keniota”. Anche se è nato alle Hawaii e la mamma non è africana. A Kisumu in concomitanza con le votazioni americane se ne sono indette di fittizie in versione africana, con due attori che impersonavano i candidati e le urne per scegliere il preferito, in una parodia delle promesse che i politici usano fare in campagna elettorale. “Se vinco estenderò il lago Vittoria fino al Mississippi” proclamava il finto McCain.
Però. Nonostante fosse public holiday, a Karungu molti hanno lavorato comunque. Oppure ne hanno approfittato per riposarsi, piuttosto che per festeggiare. L’ospedale ovviamente non si è fermato e neppure gli ambulatori: il giovedì è la giornata in cui le mamme sieropositive vengono a farsi visitare per la prevenzione della trasmissione verticale del virus. Non potevano certo saltare l’appuntamento per il primo presidente nero alla Casa Bianca.
La stampa e i media locali hanno seguito passo dopo passo l’ascesa di Obama e nei giorni successivi all’elezione erano quasi monotematici. Tanti autobus e matatu hanno cambiato la scritta Senator con President, e di sicuro tra i prossimi nascituri ci saranno molti omonimi.
Ma. La vita a Karungu è rimasta la stessa. E la gente non ha festeggiato più di tanto. Se il cambiamento ci sarà, dovrà passare del tempo prima che li raggiunga. E loro devono pensare al presente. Oggi al mercato di Otati vendevano anche i calendari 2009. In molti campeggiava Obama e il suo motto: Yes, we can. Ma l’impressione è che chi vive qui, forse anche in seguito alla delusione delle ultime votazioni nazionali, di fronte a questa nuova speranza sia più prudente.
Yes, we can?
mercoledì 26 novembre 2008
Yes, we can?
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento