venerdì 29 ottobre 2010
martedì 26 ottobre 2010
Rest in Peace, Akuku Danger
Perchè Akuku era, probabilmente, il poligamo più incallito del mondo. I dati sono diversi, ma è comprovato che abbia sposato oltre 100 mogli, la prima nel 1939 e l'ultima nel 1997, quando lui aveva 79 anni e lei 19. Secondo i costumi luo, dei vari matrimoni solo una quarantina sono stati riconosciuti. Ma questo non gli ha impedito di vivere anche con le altre donne e di generare centinaia di figli, da cui sono arrivati un numero imprecisato di nipoti e bisnipoti. L'ultimo nato in famiglia, tuttavia, forse è proprio il suo ultimo bambino: è arrivato appena tre mesi fa.
Ad Aora Chuodo, dove viveva, ha fondato due scuole primarie e una chiesa, per accogliere tutta la sua famiglia. E molti dei negozi della zona gli appartengono. Ma la dinastia Akuku ha da tempo varcato i confini di Nyatike District e anche del Kenya: i suoi figli, molti dei quali sono medici, ingegneri e quant'altro, vivono all'estero. A quanto dicono, sapeva i nomi di ognuno di loro. Era fermo e con una spiccata capacità organizzativa, ma anche presente e attento. Tutti hanno ricevuto un'educazione e anche chi è ancora a scuola non avrà problemi a terminare gli studi perchè non lascia debiti e ha insegnato ai più grandi a badare ai più piccoli.
A sentire le mogli, poi, è stato un ottimo marito. Ognuna aveva un compito e si occupavano di lui a rotazione, mentre la notte arrivava a sorpresa e, a quanto dicono, sempre gradito, perchè essendo in tante non ricevevano spesso le sue visite.
Era così affascinante da aver sposato anche tre o quattro sorelle della stessa famiglia.
Sembra una storia del passato e invece è oggi, anche se la sua vita ha dello straordinario pure in Kenya, dove la poligamia è legale e ampiamente praticata.
Un uomo e un personaggio, che ora riposa nella camera mortuaria del St. Camillus M. Hospital, in attesa del funerale, il prossimo 4 dicembre. Quando si è sentito male, una ventina di giorni fa, è stato portato in ospedale, ma la situazione era grave ed è stato subito organizzato di portarlo a Kisumu. Un lungo viaggio invano, perchè Akuku è deceduto durante l'accettazione.
Io l'ho conosciuto proprio al St. Camillus, qualche mese fa, mentre aspettava alcune nipoti al VCT. Era vestito esattamente come nella foto in alto, che era un pò la sua divisa: pantaloni corti e camicia, il cravattino e il cappello, gli occhiali scuri e il bastone, i calzini a metà gamba. Un dandy. Mi avevano colpito i pantaloncini: quasi nessuno porta i calzoni corti a Karungu, tranne i bambini. Come sia stato da giovane non lo so, ma a 92 anni era ancora un uomo molto alto e snello, dalla schiena dritta e dall'aspetto forte. Una bella voce e lo sguardo malandrino, da latin lover di lunga data. Pare che alcune delle sue mogli abbiano lasciato i precedenti fidanzati per lui, e non se ne siano mai pentite. Contente loro. Perchè a casa Akuku vigeva la disciplina e le regole le stabiliva lui, ma ricompensava le consorti non facendo mai mancare loro niente. E ha pure divorziato da chi non si comportava bene. Insomma, ci si dedicava, alla famiglia, e aveva fatto della poligamia uno stile di vita. Ciononostante quando, sornione, con una franca risata mi ha chiesta in moglie, ho declinato la proposta. "Ne ho già tante, ma una bella mzungu come te mi manca" mi ha detto. Grazie Akuku, da un esperto di donne come te, il complimento vale doppio, ma proprio non posso. Niente di personale, eh?
Rest in peace.
Picha from Daily Nation & theStandard
domenica 24 ottobre 2010
Traffic jam in Karungu
In this video: traffic jam in Karungu. Enjoy!
martedì 19 ottobre 2010
It doesn't make any sense
Non si può morire a 19 anni per una banale complicazione da parto, quando si è sieronegativa e si ha appena dato alla luce un bel bambino che non ricorderà la madre. Fortuna che con lui ci sono i nonni, e una capra gli darà il latte.
Nonostante la campagna di prevenzione stia funzionando, domenica ha partorito l'ennesima ragazzina di 16 anni. Anche lei sieronegativa, e brava che è venuta in ospedale. Solo con la mamma, il padre del bambino chissà dov'era. Ma chissenefrega. Anche in questo caso una complicanza. Il bimbo ha sofferto molto. In un ospedale più attrezzato.. Chissà. Invece è morto stamattina.
Un ragazzo di 19 anni forse morirà. Ha una malattia particolare che si può curare. Per essere sicuri che si tratti di questa specifica patologia serve un esame molto costoso, che la famiglia non si può permettere. E' stato ricoverato la prima volta al St. Camillus quasi un anno fa. E' molto alto, sieronegativo, pesa meno di 50 kg. Ieri l'hanno portato a fare l'esame, perchè è stato trovato un donor. Ma probabilmente è troppo tardi.
Anche Dominic è morto, qualche mese fa. A un anno e mezzo pesava poco più di 4 kg. Era sieropositivo. La mamma fino all'ultimo non voleva fargli fare il test nè sapere il suo stato. Perchè naturalmente se il bimbo è positivo all'HIV lo è anche lei. E preferisce non sapere. Quando in reparto le hanno spiegato che era fondamentale saperlo per poter curare il piccolo che rischiava di morire per malnutrizione e AIDS, la signora ha detto: mi dispiace, ho altri bambini a casa. I primi giorni si rifiutava di allattarlo. Aspettava. Ma Dominic sembrava destinato a farcela. Con i suoi occhi sproporzionati a quella testa e a quel corpicino, guardava tutto e tutti con avidità, come se avesse fame di stare al mondo oltre che di cibo. Con le sue fragili dita si attaccava al lenzuolo del lettino e sembrava che la sua voglia di esserci l'avrebbe salvato. Dopo un breve periodo in ospedale aveva cominciato a stare seduto, la mamma aveva ripreso speranza e si dimostrava più affettuosa, aveva anche deciso di allattarlo di nuovo. E poi, niente. Il buio. A volte non basta desiderare ardentemente una cosa per ottenerla. Non basta attaccarsi al lenzuolo per resistere.
Questa mattina due bambine hanno colorato con i pastelli nel mio ufficio. La mamma mi ha detto che sono a casa da scuola perchè non ha i soldi per la retta. Il marito è morto l'anno scorso e lei con il suo lavoro non ce la fa a coprire tutte le spese, così le bimbe iniziano ogni volta il trimestre fino a quando ci sono i soldi, e poi si vedrà.
Le donne che si rivolgono alla clinica prenatale sono in aumento. Al momento del test dell'HIV, però, spesso si tirano indietro. Non lo vogliono sapere. Oppure dopo il risultato non si fanno più vedere. Perchè se risultano positive, poi lo devono comunicare al marito. Se hanno preso il virus tradendo il proprio compagno, è una tragedia. Se sanno di essere state fedeli, significa che a tradirle è stato lui. Ma è difficile che lui lo ammetta. Più facile che le accusi di essere fredifaghe e le cacci di casa. Gli operatori home based care della missione ne sentono di tutti i colori quando fanno visita a queste signore a casa. L'ospedale offre un servizio gratuito alle donne in gravidanza e, tramite l'assicurazione sanitaria, la possibilità di un parto ospedalizzato. Ma spesso il marito non le vuole accompagnare al momento della nascita. E mica possono farsi chilometri a piedi.
Alla mobile clinic di Otati, dopo tre anni di assistenza alle gestanti, finalmente le future mamme non vedono più il partorire in ospedale come una stravaganza o un lusso ma come un diritto e una necessità. Peccato che Otati sia a circa un'ora di strada impropobile dal St. Camillus, e allora quasi conviene partorire a casa. Con il risultato che dopo essere state seguite durante la gravidanza non è possibile effettuare la profilassi per evitare la trasmissione verticale del virus dell'HIV.
In caso di madre sieropositiva, le linee guida mondiali sconsigliano l'allattamento. In Africa è concesso per i primi sei mesi del nascituro, perchè la famiglia solitamente non ha i soldi per il latte in polvere ed è più probabile che il piccolo muoia in questa fase bevendo l'acqua non salubre usata per preparare il latte artificiale piuttosto che prendere l'AIDS dalla mamma succhiando al seno.
Un ragazzo all'ultimo anno di università viene a trovarmi in ufficio con la mamma per farle da interprete, perchè lei sa solo il dholuo. Siccome parla a voce bassissima e faccio fatica a capirlo, gli chiedo per favore di scrivere quello che mi vuole dire. Impiega almeno cinque minuti per compitare poche righe, ritorna più volte sulle frasi prima di consegnarmi il foglietto e leggendo faccio comunque fatica a capire il messaggio perchè è scritto in un inglese più maccheronico del mio che sono italiana.
Una signora di Otati vive da sola con tre figli avuti da uomini diversi. Il più grande avrà 4 anni. Chiamare casa il posto dove vivono è decisamente eccessivo. E' una delle famiglie più povere che conosco. Sono andata a trovarla e in quella che lei chiama ostentatamente cucina c'erano i tre fratellini soli, sporchi e affamati. Il più piccolo piangeva disperato. Le abbiamo telefonato tramite il cellulare di un vicino. Dove si è cacciata? Quando è arrivata si è scusata, stava lavorando per racimolare qualcosa. Stava aiutando a spalmare il fango sulla capanna di una famiglia, che così si fa i muri. Mi ha detto che i bambini sono sporchi perchè siccome lavora non ha avuto tempo di andare a prendere l'acqua al lago, a una quindicina di chilometri. Le offriamo qualcosa per comprare da mangiare lei ringrazia e replica in dholuo. Chiedo all'amico che mi accompagna di tradurmi ma lui all'inizio si rifiuta. Insisto. Mi dice: ti ha chiesto se le compri un cellulare, così la prossima volta che vieni qui puoi contattarla direttamente e si fa trovare a casa.
giovedì 14 ottobre 2010
Come bambini
In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: "Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?" Allora Gesù chiamò a sè un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: "In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli."
[Matteo, 18:1-5]
In Italia una delle domande più comuni è stata: ma quando torni per restare? Quando torni. Più passavano i giorni e anche io mi chiedevo: quando torni. In Africa. Salvo la mia famiglia e pochi amici, non vedevo motivo di tornare per restare. E’ un’Italia che mi appartiene sempre un po’ meno, che si fa sempre un pò più distante.
Per fortuna ci sono i bambini. Uno dei giorni migliori della mia vacanza italiana l’ho trascorso in compagnia dei piccoli alunni della scuola primaria di San Zeno. La maestra Anna mi aveva chiesto di andare a parlare di Karungu e io avevo accettato senza ben sapere cosa avrei detto. Mi chiedevo cosa potevo dire a dei bambini di 7-8 anni a proposito di Africa.
Ho preparato alcune fotografie e mi sono presentata al mio colorato pubblico. Credo di aver parlato per circa cinque minuti, poi c’erano così tante mani alzate che non sapevo da che parte cominciare.
Mi hanno chiesto praticamente qualsiasi cosa, una raffica di curiosità. E di spontaneità. E voglia di sapere.
Dov’è il Kenya? Che lingua parlano? Come si chiamano i bambini? Abbiamo mostrato loro la cartina e spiegato che qui si parla inglese e kiswahili, ma i bambini di Karungu parlano dholuo. Come chi tra voi a casa parla dialetto, ha spiegato la maestra. Si sono interessati quando ho spiegato come si danno i nomi in base al momento della nascita. E quando ho detto loro che il mio nome luo è Akinyi, perché sono nata di mattina, mi hanno chiesto stupiti: sei nata in Africa? No. O forse sì.
Hanno giocattoli? A cosa giocano? Ascoltano la musica? Ce l’hanno la televisione? E l’orologio?? Quasi non ci credevano quando ho detto che i bambini di Karungu i giochi se li fanno da sé, però sono stati contenti di sapere che adorano ballare e cantare e che in alcuni posti c’è la televisione, anche se non in casa perché non c’è la corrente e quindi niente tv ma anche niente videogiochi, niente frigorifero, niente luce la sera. Niente. Quanto all’orologio, ho alzato i polsi: non lo porto più neppure io.
Una foto che ha colpito molto rappresentava un bambino che faceva il bagno in una bacinella di plastica colorata. Come fanno a lavarsi? Hanno l’acqua a casa? La vanno a prendere nel lago?!? Hanno il sapone? E lo shampoo? E l’asciugamano? Sì sì sì sì!
La parte più difficile è stato spiegare che la maggior parte dei bambini di Karungu è orfana di almeno un genitore. Dell’AIDS non abbiamo neanche accennato, era già abbastanza così. Chi cucina a casa? Chi li aiuta con i compiti? Chi li accompagna a scuola? Un bimbo con gli occhiali ha riassunto benissimo la questione con una domanda che taglia come una lama, pur nella sua semplicità. Come fanno senza la mamma? Perché a casa c’è quasi sempre una zia o una sorella maggiore, e un papà o uno zio o i nonni e degli adulti che decidono di prendersi cura di un bambino non loro. Ma la mamma è la mamma.
Dovevo restare qualche minuto e invece quasi non ci siamo accorti della campanella che suonava. L’ultima domanda è stata da parte di una bambina con lunghe trecce che mi si è fatta vicina prima di tornare a casa. Posso abbracciarti? Certo, tesoro. Un bell’abbraccio forte.