mercoledì 17 febbraio 2010

Al fuoco

Era da tempo che volevo scrivere dei bambini ustionati che così di frequente arrivano al St. Camillus M. Hospital. Tuttavia, non lavorando direttamente in ospedale, non trovavo il modo e il tono di raccontare tale realtà. Questa è l'esperienza di padre Mario. Ho pensato di condividerla con voi, perché non bastano l'AIDS, la malaria, la TBC e via dicendo.
A Karungu, bisogna stare attenti anche al fuoco.


E' un problema che mi sta particolarmente a cuore. Non si tratta purtroppo di semplici scottature che, seppur dolorose, si sanano nel giro di una settimana o poco più. In genere chi viene portato all’ospedale ha bruciature ampie e profonde o in zone molto delicate come la testa, le mani, i piedini, la faccia.

Come mai succede, e tanto spesso? Immaginate di trovarvi in una povera capanna dove in un angolo ci sono tre pietre e sopra queste una pentola per cucinare il cibo. E’ il tempo del tramonto e nel giro di pochi minuti scenderà la notte. I bambini sono attorno al fuoco osservando quella che sarà la loro cena. Nella capanna non c’è televisione o altro motivo di attrazione e distrazione per i bambini, né libri da leggere alla poca luce che viene dal fuoco. La mamma deve badare anche ad altre cose e basta poco, un movimento brusco, o un po’ di curiosità, per causare quello che si vorrebbe non capitasse mai. Il fuoco con la sua vivacità è bello ma sempre pericoloso e la pentola, seppur stabile sulle tre pietre, è in equilibrio precario e si può rovesciare in un attimo. Ci sono anche altre situazioni. Capita che la capanna si incendi quando la famiglia è dentro, magari di notte, mentre tutti dormono. Succede che un bambino o un adulto rovesci la pentola che è sul fuoco o una lampada a causa di un attacco di epilessia.

Non è mia intenzione, tuttavia, rattristarvi elencandovi tutti i singoli casi, ma piuttosto regalarvi un’immagine che mi ha dato tanta serenità e gioia, seppure nella drammaticità del dolore, quando a soffrire sono i bambini. Boaz aveva ampie ustioni ad un braccio e alla faccia. Dopo un periodo piuttosto lungo in ospedale, la pelle si era cicatrizzata abbastanza bene e i suoi occhi, fortunatamente risparmiati dal fuoco, hanno ricominciato a dare segni di vivacità. Ora che poteva di nuovo alzarsi dal letto, camminare e correre, era sempre in movimento, quasi volesse recuperare il tempo perduto.

Ciò che mi ha colpito è che nelle pause del suo giocare ed esplorare, il suo posto preferito era accanto ad una mamma e al suo bimbo di poco più di un anno, con un braccio e la testa ampiamente ustionati. Boaz, con il suo sorriso e le sue attenzioni, sembrava voler dare loro coraggio. Senza parlare, nelle ultime due settimane del suo ricovero ospedaliero, con la sua semplice presenza e il suo buonumore, Boaz dava serenità a questa giovane donna e lasciava trasparire un cuore grande. Boaz è tornato a casa, ma sono sicuro che sia la mamma sia il piccolo Dedrick, che è ancora ricoverato in ospedale, portano dentro di sé i suoi occhi come un’immagine di speranza e di amicizia che è sempre possibile, anche nei momenti più difficili.

p. Mario

In this picha: Boaz, Dedrick and his mom
Special thanks for this picha: fr. Mario

sabato 13 febbraio 2010

Impossible is nothing :)

Fidel a maggio compie 5 anni. Sieropositivo, è orfano dall'età di otto mesi. E' figlio di una contadina di nome Tabitha, ma è figlio soprattutto di una tradizione culturale ben radicata nella storia sociale della tribù Luo. Quando il marito di Tabitha muore di AIDS, la giovane donna va in sposa al fratello del defunto. Si usa così, da queste parti. Fidel è figlio di Tabitha e di suo cognato, che abbandona la famiglia subito dopo la nascita del bambino.
Quando anche Tabitha muore di AIDS, Fidel rimane a vivere con la nonna, una donna anziana che vuole bene al nipotino ma non ha di che vivere per se stessa, figuriamoci per due. Inoltre, risulta ben presto evidente che Fidel non gode di buona salute. La soluzione migliore sembra quella di portarlo al St. Camillus M. Hospital e di lasciarcelo il più a lungo possibile. Fidel ha trascorso mesi in ospedale, con la nonna che andava e veniva ma cercava di non farlo dimettere. Alla missione riceveva le cure mediche necessarie, e mangiava tre volte al giorno. Un piccolo Eldorado.
Fidel ha cominciato la terapia antiretrovirale a 2 anni. E questo ha complicato la faccenda perchè gestire i farmaci non è affatto semplice. Lo staff della clinica per i malati di AIDS ha consigliato alla nonna di portare il nipotino al Dala Kiye, e a settembre 2009 Fidel è entrato a far parte della grande famiglia del Centro per gli Orfani di Karungu. Con Alphons, 4 anni, ha occupato gli ultimi due posti disponibili nella casetta Kiboko [Ippopotamo, in swahili].
Fidel è bello. Bellissimo. Come lo sono tutti i bambini. Fidel ama ballare. E balla con uno stile tutto suo [diffidate dalle imitazioni!]. Fidel quando ti vede ti corre incontro anche se dopo 10 metri ha già il fiatone. Fidel ama saltarti in braccio e si aggrappa con le gambe come un piccolo koala al suo eucalipto. Fidel adora gli occhiali da sole. Fidel quando qualcuno se ne va lo saluta con la mano per almeno 5 minuti. E se gli fai notare che ormai è a Sori e non lo può vedere quasi quasi si offende. Fidel quando vuole una cosa la ottiene, a costo di menare le manine. Fidel ha già capito che nella vita bisogna essere un pò "arieti" se si vuole andare avanti e sfondare i muri delle difficoltà, a costo di abbatterli a testate. Fidel ha gli occhi sinceri e comunicativi e intensi. Ridono quando è felice, si fanno bui quando è triste. Sono trasparenti. E parlano. Dicono quello che la sua voce non dice. Fidel non parla. Capisce tutto quello che gli viene detto, fa quello che gli viene chiesto, indica quello che vuole. Ma non dice una parola.
Sul perchè del suo silenzio non c'è un motivo certo. Per come la vedo io, Fidel non parla perchè nessuno ha mai perso troppo tempo a parlarci. E perchè se a 4 anni sei già orfano, sieropositivo, abbandonato da tuo padre e hai trascorso metà della tua vita in ospedale, beh, non è che hai molto da dire.
Pare che alcuni stimoli funzionino solo se ricevuti entro i primi 3 anni. Questo dicono i libri. E non discuto. Ma, a Karungu impari che Elimu ni maisha, si vitabu [Si impara dalla vita, non dai libri, in swahili].
E Fidel, dopo sei mesi al Dala Kiye, ha cominciato a dire qualcosina. Le mamme delle casette dicono che quando è molto rilassato parlicchia. E' ancora presto per sapere se imparerà a parlare come si deve o meno. Tempo al tempo.
Ma Fidel, ieri al mio saluto: "Ciao Fidel, idhinade?" [Come stai? in dholuo] Ha risposto: "Ciao!" Ciao. Ed è stato il ciao più bello che io abbia sentito con le mie orecchie nuove.
Impossible is nothing.

In this picha: Fidel :)

giovedì 11 febbraio 2010

Giornata Mondiale del Malato

In this picha: a small patient at St. Camillus M. Hospital
Special thanks for this picha: MamaKenya

"Vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: «Abbi cura di lui"
[Lc 10, 33-35]

lunedì 8 febbraio 2010

Sostegno a distanza

E' iniziata la campagna per
il sostegno a distanza
di bambini e ragazzi di Karungu
!
Aiuta uno dei tanti orfani di AIDS;
contribuisci all'istruzione
di uno degli studenti
all'università.


Clicca sul logo per saperne di più!


Il futuro comincia oggi.

sabato 6 febbraio 2010

Greetings from Mombasa

"We took the ocean with us. When a woman makes a baby, she gives it water, inside her body, to grow in. The water inside her body is almost exactly the same as the water of the sea. It is salty, by just the same amount. She makes a little ocean, in her body. And not only this. Our blood and our sweating, they are both salty, almost exactly like the water from the sea is salty. We carry ocean inside of us in our blood and our sweat. And we are crying the ocean, in our tears."

[Johnny Cigar, a slum-dweller, in Shantaram, G.D. Roberts]

In this picha: the Indian Ocean

In this picha: kanga on the beach

In this picha, from left:
Amanda, Kayla, Christy, Angi & Lauren